Cresce l’interesse per l’eolico offshore in Italia. L’obiettivo: ridurre emissioni e dipendenza energetica

Nel Nord Europa l’eolico offshore è consolidato grazie a fondali bassi. Al contrario, le caratteristiche del Mar Mediterraneo rendono indispensabili le turbine galleggianti, che funzionano oltre i 50-60 metri di profondità. Uno studio RSE (Ricerca Sistema Energetico) pubblicato su WIRES Energy and Environment esplora questi aspetti, prospettando una piena fase commerciale tra qualche decennio.

Il report analizza costi, tecnologie e sostenibilità delle turbine galleggianti, che in Italia e nel Mediterraneo risultano la scelta economicamente più vantaggiosa rispetto alle turbine fisse. Tra i firmatari, Laura Serri e Francesco Lanni del Dipartimento Tecnologie di Trasmissione, e Davide Airoldi e Roberto Naldi del Dipartimento Sviluppo Sostenibile.

Raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2050 richiederà una diffusione dell’eolico offshore. Tuttavia, le strutture galleggianti hanno costi elevati, compensati dal risparmio in emissioni e minore dipendenza da fonti estere.

L’Italia è considerata un Paese promettente per questa tecnologia. Con 8.000 km di costa, numerosi porti e il primo parco eolico offshore a Taranto, le aree adatte includono il Mar Ligure, la Sardegna, la costa meridionale della Sicilia e la Puglia orientale. Alcune zone, come Emilia-Romagna e Sicilia meridionale, potrebbero ospitare turbine fisse, sebbene con un potenziale inferiore.

Secondo il PNIEC 2023, l’obiettivo è di raggiungere 2,1 GW di capacità offshore entro il 2030. Ma, a oggi, nessuno degli 80 progetti proposti ha ottenuto l’autorizzazione. L’unico parco operativo è quello di Taranto, composto da 10 turbine da 3 MW, mentre nel Golfo di Napoli è in test una turbina galleggiante da 10 kW.

Si discute anche di combinare eolico e solare nelle coste siciliane, per massimizzare la produzione energetica stagionale e sostenere una transizione più sostenibile.