Ferzan Ozpetek, è stato insignito del ‘Premio Via Condotti’ durante la Festa del Cinema di Roma

Il celebre regista Ferzan Ozpetek, è stato insignito del ‘Premio Via Condotti’ durante la Festa del Cinema di Roma premiato da ‘Alice nella città’ insieme alla Fondazione Musica per Roma e all’Associazione Via Condotti nel ricordo di Gianni Battistoni.

Questo prestigioso riconoscimento viene assegnato a chi, pur non essendo romano di nascita, ha sviluppato un profondo legame d’amore con la città. E chi meglio di Ozpetek poteva riceverlo? Arrivato nella capitale nel 1974, il regista turco non l’ha più lasciata, facendone il palcoscenico della sua vita e della sua carriera artistica.

Davanti a un’attenta platea di studenti di cinema e folto pubblico, riuniti all’Auditorium Parco della Musica per ascoltarlo, Ozpetek ha ripercorso i suoi esordi: giunto a Roma con l’intenzione di studiare, si è prima dedicato alla pittura, poi al giornalismo e infine alla regia. “Nella vita il fattore c… conta, eccome”, ha dichiarato A rendere omaggio al regista, l’attore Vinicio Marchioni e due protagoniste del suo nuovo film Diamanti, in uscita il prossimo 13 dicembre: Marilena Mancini e Paola Minaccioni, che hanno letto brani tratti dai romanzi di Ozpetek. Il film, ambientato tra gli anni ’70 e oggi in una grande sartoria, vanta un cast di ben 18 attrici. “L’ho intitolato Diamanti, con il suggerimento di Mina”, ha rivelato Ozpetek, “perché le donne sono resistenti come i diamanti”.

Roma, amore a prima vista per il regista che ha raccontato della sua prima volta a Roma e delle parole di sua zia, che lo hanno ispirato a scegliere la città eterna come casa: “Mio padre voleva che andassi in America, ma mia zia, che spesso veniva qui in vacanza, mi diceva: ‘Roma è bellissima e ci sono gli uomini più belli del mondo’. Così, decisi di trasferirmi e iniziai a frequentare l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico mentre lavoravo come pittore per un corniciaio. Mio padre, dopo tre anni, mi disse di trovare un lavoro stabile.

Attraverso l’ambasciata mi trovò un impiego ben pagato come traduttore, ma non accettai perché temevo che fare il traduttore mi avrebbe distratto dal mio obiettivo. Determinato a entrare nel mondo del cinema, iniziai a scrivere interviste per una rivista, chiedendo sempre ai miei intervistati se avessero bisogno di un assistente regista. La svolta arrivò quando Massimo Troisi mi invitò come volontario sul set: Dovevo portargli il tè con i biscotti”, ha raccontato ridendo. “Ma l’incontro più importante fu quello con Marco Risi, che segnò l’inizio della mia carriera con il film Il bagno turco (1997)”, selezionato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes. Il successo definitivo arrivò nel 2001 con Le fate ignoranti. “Quel film ha cambiato la mia vita e quella di tante persone”, ha spiegato il regista, “pensate che il mio avvocato di allora trovò il coraggio di dire alla madre che era gay dopo averle fatto vedere il film. A qualcosa è servito Le fate ignoranti!”, ha aggiunto, suscitando le risate del pubblico.

“Il titolo mi venne in mente in un taxi a Istanbul mentre leggevo un libro che mi era stato regalato. Trovai una pagina che parlava di un’opera di Magritte, “La fata ignorante” e quindi decisi di modificarlo. ‘Con questo titolo e questa storia non andrai da nessuna parte’, mi dissero all’epoca. Ma il film venne selezionato alla Berlinale e fu un trionfo. In Italia uscì prima L’ultimo bacio, sempre con Stefano Accorsi. Ero amareggiato e arrabbiato”, ha confidato Ozpetek. “Non volevano fare uscire il mio film perché avevano timore. Alla fine, uscì nelle sale con 50 copie e, due settimane dopo, ne furono richieste 300: c’erano file davanti ai cinema. Ho dovuto togliere il mio cognome dal citofono e il numero di telefono dall’elenco: ogni sera trovavo messaggi meravigliosi in segreteria”.

Racconta poi una chicca curiosa sulla profezia (sbagliata) o gufata, di Nanni Moretti. Nel 2003 il regista bissò il successo con La finestra di fronte, “titolo che mi suggerì Bernardo Bertolucci”, ha rivelato. “Anche in questo caso mi dissero: ‘Chi vuole vedere la storia di un anziano omosessuale ebreo e di una disgraziata che lavora in una fabbrica di polli?’. Anche Nanni Moretti non sembrava ottimista: “Bellissimo film, ma non farà una lira”, aveva commentato. Invece, fu un successo mondiale. Non mi mandarono agli Oscar perché il mio cognome per un titolo italiano non era adatto”, ha detto Ferzan, convinto che oggi sarebbe andata diversamente. “Comunque, i festival e gli Oscar non potranno mai sostituire il pubblico”, ha concluso, mentre la platea lo applaudiva calorosamente.