Centrale per la trasformazione digitale e green, ma resta marginale per alcune PMI. Necessari nuovi modelli e incentivi
La formazione è sempre più vista come strategica nelle PMI italiane, con il 51% delle aziende che la integra nei propri piani e il 61% che la considera prioritaria per lo sviluppo di competenze chiave per la transizione digitale e green. Tuttavia, il 18% delle PMI resta scettico, percependola come non prioritaria o limitandosi agli obblighi normativi.
Secondo l’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI, solo il 15% delle aziende valuta regolarmente le competenze interne e appena l’11% pianifica i bisogni formativi futuri. Inoltre, il 37% non programma attività di formazione e il 19% lo fa solo ogni due o tre anni, evidenziando un divario tra intenzioni e azioni. La formazione formale, pur essenziale, coinvolge maggiormente impiegati e operai (69%), mentre quadri e dirigenti restano spesso esclusi (53%). Questo limite rischia di compromettere il ruolo strategico dei quadri, ponte tra leadership e operatività. Anche i neoassunti, nel 64% dei casi, accedono solo ad attività informali come affiancamenti.
Le principali aree formative riguardano soft e hard skills (73%), digitalizzazione (61%) e transizione green (39%). Tuttavia, il 30% delle PMI si affida esclusivamente a formazione informale o obbligatoria, frenato da difficoltà operative, come la mancanza di strutture dedicate (32%) e l’impossibilità di svolgere attività durante l’orario di lavoro (40%).
La formazione finanziata rappresenta un’opportunità utilizzata dal 78% delle PMI, tramite crediti d’imposta (39%) e fondi interprofessionali (33%). Tuttavia, complessità burocratiche e fondi limitati ne ostacolano l’accesso per molte aziende. Per migliorare la competitività, occorre promuovere una visione strategica della formazione, includendo quadri e dirigenti nei processi di upskilling e reskilling, come sottolineato dagli esperti dell’Osservatorio