Una società con sempre meno giovani rischia di perdere quella spinta innovativa e quella visione di lungo periodo necessarie per affrontare le sfide del futuro
L’invecchiamento progressivo della popolazione italiana è un fenomeno che per anni è stato messo in secondo piano dai decisori politici, impegnati a fronteggiare altre emergenze più immediate. Tuttavia, oggi ci troviamo di fronte a un punto di svolta che impatta direttamente sull’economia del Paese e sulla sostenibilità del sistema pensionistico stesso.
Secondo le più recenti stime del Cnel, l’indice di dipendenza degli anziani – ossia il rapporto tra la popolazione con più di 65 anni e quella in età lavorativa (20-64 anni) – ha già raggiunto il 40%, superando di circa 14 punti percentuali la media europea. Le previsioni di Eurostat indicano che questa percentuale continuerà a salire, superando il 65% entro il 2026. Questo squilibrio demografico ha profonde ripercussioni sul mercato del lavoro: il numero di occupati tra i 35 e i 49 anni è passato da 10,5 milioni nel 2014 a meno di 8,8 milioni oggi, mentre i giovani tra i 25 e i 34 anni si sono ridotti a 6,2 milioni, con un calo drastico rispetto agli 8,5 milioni del 2004. Se questa tendenza continuerà, tra pochi anni il numero di lavoratori sotto i 35 anni potrebbe scendere al di sotto dei 5,5 milioni.
Questo scenario comporta un carico sempre più gravoso per il sistema previdenziale. Nel 2023, la spesa per le pensioni, finanziata attraverso la fiscalità generale e l’Inps, ha raggiunto i 164,7 miliardi di euro, segnando un aumento del 65,8% rispetto ai 99,3 miliardi del 2013. Il crescente squilibrio tra pensionati e lavoratori attivi rende il sistema sempre più dipendente dalle casse dello Stato, con il rischio di compromettere la sostenibilità economica a lungo termine.
Ma l’impatto dell’invecchiamento non è solo finanziario. Una società con sempre meno giovani rischia di perdere quella spinta innovativa e quella visione di lungo periodo necessarie per affrontare le sfide del futuro. È come un serpente che insegue la propria coda, accelerando il declino anziché contrastarlo.
Le politiche demografiche, d’altra parte, richiedono tempo per dare risultati concreti, un po’ come le manovre di una nave da crociera che impiegano anni prima di produrre effetti tangibili. Una possibile soluzione potrebbe essere l’apertura a un flusso migratorio regolato, come già avvenuto in passato in altri Paesi con esiti economici positivi. Tuttavia, il tema dell’immigrazione è oggi estremamente divisivo e difficilmente trova spazio nell’agenda politica, se non in chiave restrittiva, come dimostrano le recenti politiche statunitensi contro l’immigrazione illegale. Resta da vedere se queste misure porteranno a un aumento dei salari e a nuove dinamiche economiche o se, invece, contribuiranno a creare ulteriori squilibri.
Quel che è certo è che l’Italia si trova di fronte a una sfida demografica senza precedenti, e le scelte di oggi determineranno il futuro del Paese per le prossime generazioni.