Economia della Conoscenza

Antonio Faraò e l’essenza della musica al GaiaJazz

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di Beppe Ceccato

Cultura e impresa sono due parole che dovrebbero restare sempre connesse tra loro. La prima facilita la seconda, la può rendere migliore attraverso la musica, la fotografia, la lettura, la pittura, la scultura, la seconda aiuta a trasmettere quei solidi saperi necessari alla vita di un Paese. Da 11 anni a Portobuffolè, paesino di poche anime in provincia di Treviso, inserito nella classifica dei Borghi più belli d’Italia, si tiene un festival jazz legato a un progetto, D Work, elaborato, organizzato e sviluppato da Dotmob, associazione culturale che si propone di “implementare la conoscenza delle imprese e delle professionalità che valorizzano il territorio” (vedere nella pagina a fianco).

Si chiama GaiaJazz Musica & Impresa ed è un festival particolare, partito in sordina e oggi diventato un appuntamento apprezzato, grazie anche alla direzione artistica di Antonio Faraò, uno dei jazzisti italiani più conosciuti nel mondo, pianista virtuoso e curioso. Quattro incontri musicali (10, 17, 27 giugno e 1 luglio) divisi tra artisti che hanno appena iniziato il loro percorso o che non sono prettamente inquadrabili nel jazz, e altri che lo hanno già costruito e reso vitale. Ma anche altrettante occasioni per “ascoltare” le aziende del territorio, attraverso le loro presentazioni, e gustare i prodotti enogastronomici della zona – al confine con il veneziano e le prime propaggini del Friuli Venezia Giulia – provenienti da ristoranti e cantine locali queste ultime aderenti al Consorzio Vini Venezia, partner storico dell’iniziativa musicale.

Antonio, da quando sei direttore artistico del GaiaJazz, questo è il quarto anno, monti dei sapienti mix, musicisti giovani e altri già avviati, musica che viaggia lungo percorsi curiosi…

Di base cerco artisti che abbiano qualcosa da dire, con l’attenzione per nuove figure che si affacciano nel mondo del jazz. Prendi Francesco Bordignon, 23 anni, un contrabbassista molto bravo, protagonista della prima serata (in piazza Ghetto a Portobuffolè, ndr), in quartetto con Jacopo Fagioli alla tromba, Luca Zennaro alla chitarra e Zeno Le Moglie alla batteria. Francesco mi ha colpito perché è un vero talento, l’ho chiamato per suonare ed è arrivato preparatissimo, aveva studiato nota per nota tutti i miei brani. Credo fermamente che sia giusto e necessario dare spazio ai giovani musicisti, lo stesso che non ricevuto io all’inizio della mia carriera.

C’è anche Davide Sciortino, Shorty, il rapper palermitano (il 24 giugno sempre in piazza Ghetto).

Non lo conoscevo, me ne hanno parlato bene, così l’ho contattato e ho scoperto che è un mio accanito fan. Hip hop e jazz si parlano da tempo, nascono delle belle commistioni.

Hai ragione, il jazz è proprio questo. Hai invitato anche il sassofonista Javier Girotto (il 17 giugno alla Tenuta Polvaro di Annone Veneto) per un omaggio a Piazzolla.

Sì, il tema della serata è Tango Nuevo Rivisited. Javier sarà in trio con Gianni Iorio al bandoneon e Alessandro Gwis al pianoforte ed elettronica. Adoro Astor Piazzolla anche se non è il genere di musica che suono. Tango: Zero Hour (del 1986, ndr) è un disco che amo, è pazzesco, il violino è di un lirismo assoluto!

E poi c’è Tony Esposito con il progetto Le Origini, dove ci sarai anche tu, giusto?

Sì, ho suonato più volte con lui. Tony è stato un innovatore, uno dei primi a inserire l’elettronica, viene dal jazz, ha suonato con artisti del calibro di Don Cherry! Ricordo che a 13 anni ho consumato la cassetta di Gente distratta, uno dei suoi album più belli. Tony viene da una generazione che studiava, aveva idee, ragionava con la propria testa, allora erano giovani musicisti all’avanguardia. Tutto questo s’è perso con la tecnologia, che c’è, non puoi farci niente, ma usandola ci si siede, servirebbe un po’ più di… scomodità!