Economia della Conoscenza

L’Italrugby brilla nel torneo Sei Nazioni. Ecco perché non è una vittoria isolata

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Di Walter Intelli

Il rugby è un grande sport, fatto di fatica, sudore, battaglia e rispetto. E l’Italia ha messo tanto di tutte queste cose nel torneo delle Sei Nazioni, che per diversi anni ci ha visti comprimari tra i colossi della palla ovale: Irlanda, Inghilterra, Francia, Scozia e Galles. Ma che quest’anno chiude con il miglior risultato di sempre per noi: un torneo storico segnato da due vittorie e un pareggio. Per la cronaca, vinto per la seconda volta consecutiva dai mostri sacri dall’Irlanda.

Una partita dominata

Il tabellino della partita parla di un dominio incontrastato degli azzurri per un’ora, davanti a uno stadio ammutolito. All’intervallo le squadre sono 11-0. La ripresa parte ancora con una difesa aggressiva dell’Italia che costringe gli avversari a numerosi errori; poi una meta di Pani e si va a 18-0. Il Galles ferito non ci sta, con una reazione furiosa segna un paio di mete, ma l’Italia grazie a due calci piazzati da tre punti oramai è irraggiungibile. Così sono gli stessi Dragoni a conquistare il cucchiaio di legno, premio per l’ultimo in classifica; strameritato dopo le prese in giro e le dichiarazioni della vigilia.

«Siamo un bellissimo gruppo, soprattutto a livello umano. Sono arrivato 5 mesi fa e ho lavorato tanto con questo staff e questi giocatori, perché lavorare con questa squadra è stata per me un’opportunità. Ogni settore dello staff e ogni membro del gruppo squadra ha lavorato al meglio. Mitch (Lamaro, ndr.) è uno dei migliori capitani con cui abbia mai lavorato»

ha detto al termine della partita il ct azzurro, Gonzalo Quesada, in un italiano già molto buono. «Abbiamo segnato la meta di Pani nel secondo tempo con un’azione nata da un lancio di gioco, un movimento che avevamo studiato in settimana. La difesa è stata incredibile, abbiamo segnato due bellissime mete, quindi voglio fare i complimenti ai ragazzi», aggiunge.

«In 24 anni di storia non ci era mai capitato di vivere così tanti successi, quindi è doveroso anche celebrare il momento prendendo tutto ciò che c’è da prendere in questo Sei Nazioni»

è il commento del romanissimo Michele Lamaro. «Dobbiamo lavorare ancora tanto: dobbiamo continuare a spingere in questa direzione, consapevoli che non abbiamo ancora espresso tutto il nostro potenziale. Lo sport è così: non conta ciò che abbiamo fatto oggi, ma quello che faremo da domani», ha concluso il terza linea romano.

La crescita costante della squadra

Il successo di Cardiff è il terzo risultato utile consecutivo per gli azzurri in questo torneo, dopo il pareggio con la Francia (all’ultimo minuto un calcio piazzato di Garbisi si è stampata sul palo: avremmo vinto per la prima volta in casa dei transalpini!) e lo storico successo interno sulla Scozia. Tre risultati positivi nella stessa competizione l’Italia non li aveva mai portati a casa, e per di più sono arrivati in successione, a conferma di una crescita costante. Il rugby italiano nel 2022 aveva già vissuto una delle sue stagioni più positive di sempre, con la percentuale di vittorie più alta, cinque su undici match complessivi, dal 2007.

La vittoria di Cardiff non è casuale: due anni fa vincemmo ancora nella capitale gallese, ma fu un episodio. Questa volta no: è il chiaro frutto di una programmazione. L’esito di un lungo percorso avviato tre anni fa con una squadra giovanissima: in Galles l’età media della squadra azzurra non superava i 25 anni. Difesa solida; appunto i giovani; una nuova mentalità portata dagli ultimi allenatori, il sudafricano Franco Smith e il neozelandese Kieran Crowley; in ultimo l’impulso del nuovo coach Quesada, arrivato lo scorso novembre, primo argentino ad allenare un team del torneo fin da quando (nel 1883) era limitato alle Unions delle Isole Britanniche: sono molti i fattori alla base dell’ascesa dell’Italrugby, che a questo punto non si pone più i limiti che era abituato aad auto-imporsi nel passato.

Palla ovale cenerentola degli sport

Insomma, si è aperto un ciclo che potrebbe darci molte altre soddisfazioni. E ora il rispetto sono gli altri Paesi a mostrarlo verso di noi. Il che è un mezzo miracolo per la palla ovale, se si considera la base che ha in Italia. Se non è una cenerentola, poco ci manca. Secondo i dati del CONI, in Italia nell’ultimo anno prima della pandemia c’erano 71mila persone che giocavano a rugby su oltre 4 milioni di atleti tesserati complessivi in tutti gli sport. Il rugby risultava il diciassettesimo sport più praticato in Italia, dietro a vela (146mila praticanti), tiro a segno (75mila), tennis (340mila), sport invernali (73mila), sport equestri (109mila), pesca sportiva (168mila), calcio (1 milione e 62mila), pallavolo (322mila), basket (296mila), nuoto (166mila), motociclismo (105mila), arti marziali (120mila), golf (90mila), ginnastica (141mila), danza (81mila) e atletica (270mila).

Considerato che nel nostro Paese non si gioca a rugby per svago, e che quindi il numero di atleti tesserati corrisponde nei fatti al numero totale di praticanti, anche sport come il ciclismo e la pesistica — che contano rispettivamente 71mila e 64mila tesserati — arrivano a contare più praticanti complessivi. Si può dire quindi che il rugby sia il ventesimo sport più praticato in Italia, eppure la sua Federazione è tra le prime cinque per valore delle entrate (45 milioni di euro nel 2022).

Il rugby italiano ha quindi saputo crearsi la sua ricchezza, legata soprattutto all’ingresso nel Sei Nazioni una ventina di anni fa (fino ad allora era il torneo delle Cinque nazioni): un traguardo agevolato anche dal fatto di rappresentare un paese che era una grande opportunità di espansione commerciale per un torneo che oggi vale circa 3 miliardi di euro. Per sette anni l’Italia non ha vinto neppure una partita nella competizione; ora ne ha vinte due (e mezzo). L’appetito vien mangiando…