Economia della Conoscenza

Libri: undici parole chiave per cambiare la società

Scritto il

di Beppe Ceccato

Libro Nella vita di ognuno di noi ci sono parole chiave che usiamo e che ci rappresentano. Ce ne sono altre, però, che trascendono i singoli e diventano talmente importanti da coinvolgere tutti. Parole che racchiudono mondi, pensieri, azioni, futuro, volontà dei singoli e della collettività.

È questo il senso de Le Parole che Contano (Edizioni Lavoro, 128 pagg. 15 euro) sottotitolo Conversazioni contemporanee di Giorgio Merlo e Giuseppe Novero.

Entrambi giornalisti impegnati, politicamente il primo come sindaco di Pragelato (TO), il secondo come saggista e studioso di storia contemporanea, hanno pensato di costruire un corposo dialogo basandosi su undici parole affidate ad altrettanti esperti. Ne è nato un testo ricco, pieno di spunti riflessioni, proposte, idee.

Il Settimanale ne ha discusso con Giuseppe Novero.

Perché proprio undici?

Avrebbero dovuto essere 12, manca la parola Europa. La doveva scrivere David Sassoli…

Politica, Straniero, Giustizia, Condivisione, Populismo, Tutela sociale, Giovani, Etica, Valori, Comunità, Identità. Undici parole per altrettanti esperti, rispettivamente, Guido Bodrato, Toni Capuozzo, Giancarlo Caselli, Johnny Dotti, Marco Follini, Annamaria Furlan, Franco Garelli, Francesco Occhetta, Derio Olivero, Giovanni Quaglia, Marina Valensise. Da quale punto di vista siete partiti?

Da un’idea di confronto con persone che fossero interessate e avessero qualcosa da dire, scelte, dunque, con attenzione in base alle competenze di ciascuno, professori, politici, bancari, giornalisti, imprenditori, sociologi, religiosi. Tutti hanno accettato e si sono cimentati a espandere il significato della parola che fa parte del lavoro di ciascuno. Una forma evocativa».

Dare importanza alla parola in un momento in cui se ne abusa?

La parola oggi è inflazionata, logorata dai social. L’abbiamo voluta trattare come conoscenza e sapere, facendo un ragionamento più completo e profondo.

Parola usata anche come traccia?

Abbiamo usato un meccanismo interlocutorio per cercare di capire gli spostamenti nella società. Prendiamo per esempio il Populismo, tema che ha approfondito Marco Follini (giornalista ed ex senatore, ndr), o la Tutela sociale, a cui ha cercato di dare una risposta Annamaria Furlan (ex segretario generale della Cisl, ndr). I sindacati in questo momento devono rimettersi in gioco, non possono ridursi a rappresentare sempre più pensionati e i pochi garantiti rimasti».

È molto interessante anche la conversazione con il sociologo Franco Garelli che affronta il tema Giovani. Mi sono annotato “generazione porosa” e, soprattutto, “individualismo come stile di vita autentico”.

Garelli ha messo in evidenza una contrapposizione: in un Paese dove ci sono sempre più vecchi e sempre meno giovani ci sono i cinquantenni, sessantenni che pensano ancora come giovani, mentre i giovani per davvero hanno un orizzonte di esigenze e desideri molto più compresso rispetto al passato. Abbiamo da un lato il “giovanilismo” esasperato e dall’altro una generazione della felice insicurezza.

Non passa inosservato nemmeno l’intervento di Johnny Dotti, imprenditore sociale, a cui è stata affidata (non a caso!) la parola Condivisione.

Dotti è sempre uomo molto profondo e chiaro nelle sue esposizioni. Quello che risalta è che c’è la necessità di percorrere nuove strade. La società è in cambiamento e quello che serve – ma vale per tutte e undici le parole – è il coraggio.

Qual è il messaggio del vostro libro?

Tutti noi, ciascuno per la propria parte, dobbiamo contribuire a spronare una società stanca. Ritorno ancora sul tema: abbiamo troppi anziani e pochi giovani, i cambiamenti, le rivoluzioni avvengono in quei Paesi dove ci sono tanti giovani, noi i nostri (pochi) li stiamo “ammazzando”, li coccoliamo troppo, li custodiamo come merce rara e in questo modo ci ritroviamo il trentenne che va a chiedere al nonno la paghetta per andare a mangiare la pizza!

C’è un impulso sociale condiviso verso il cambiamento?

Al momento no, difficile una spinta propulsiva dalle aristocrazie che “governano” questo Paese. Sarebbe il caso di far nascere delle “oligarchie dal basso”, dall’esperienza e dalle capacità di impegno dei singoli e delle comunità. Allora forse…