Economia della Conoscenza

Serie TV: Il lato oscuro del capitalismo

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di Sara Sagrati

I ricchi e potenti esercitano da sempre un grande fascino sugli autori televisivi. Serial di grande successo come Dallas e Dynasty hanno caratterizzato l’immaginario catodico degli anni ‘80. Anche i ricchi piangono, si intitolava una celebre telenovela messicana, definendo involontariamente un fortunato filone che negli anni ha riempito i palinsesti di rivalità, consigli d’amministrazione e amori tormentati. Soap opera di lusso che perpetuavano il cosiddetto American dream: odiavamo il cattivo J.R. ma volevamo essere lui. Oggi quella messa in scena patinata risulta decisamente datata.

Patrick Dempsey e Alessandro Borghi in Diavoli
Patrick Dempsey e Alessandro Borghi in Diavoli

I ricchi e potenti continuano a essere perversamente affascinanti, a calarci in location da favola, farci sognare vite inarrivabili ma rappresentano il lato oscuro del capitalismo. Una tendenza sottolineata dal financial thriller Diavoli tratto dal romanzo di Guido Maria Brera e prodotto da Sky (due stagioni e una terza in arrivo l’anno prossimo) che abbandona l’idea dell’epopea famigliare e, attraverso la fittizia storia del trader Massimo Ruggero (Alessandro Borghi), ci porta dietro le quinte di fatti realmente accaduti (come la crisi dei PIIGS) mostrando letteralmente i peccati del sistema finanziario.

O come nel bellissimo Scissione (Severance) di Dan Eerickson diretto da Ben Stiller (su Apple Tv+) in cui i dipendenti della Lumon Industries sono sottoposti a una procedura di separazione tra i ricordi della vita lavorativa e quella personale. Un viaggio affascinante e metaforico della spersonalizzazione del lavoro ai tempi della crisi.

The White Lotus: Sabrina Impacciatore nella seconda stagione.
The White Lotus: Sabrina Impacciatore nella seconda stagione.

Nella spietata serie antologica The White Lotus ideata da Mike White per Hbo (in Italia su Sky e Now) ci immergiamo nelle vacanze di lusso di ospiti ultra facoltosi. Alle Hawaii nella prima stagione, a Taormina nella seconda e in Thailandia nella prossima, ricchi vacanzieri e personale locale, chiusi in una bolla dorata di agio e privilegio, danno sfogo a pulsioni e repressioni, sopraffazioni e violenza, dipingendo il ritratto impietoso della nuova impossibile lotta di classe.

La tradizione dei ricchi e potenti torna in Succession che segue la famiglia del magnate Logan Roy, rappresentazione di quell’1% che detiene il 45,6% della ricchezza mondiale. Nelle sue tre stagioni Succession, ideata da Jesse Armstrong e prodotta dall’attore Will Ferrell e dal regista Adam McKay (La grande scommessa, Don’t Look Up), ha conquistato cinque Golden Globe, otto Emmy e il pubblico di tutto il mondo, affascinato dai disperati tentativi dei quattro rampolli Roy nel prendere il timone dell’impero mediatico di famiglia.

Questa volta non ci sono amori impossibili o outsider con cui immedesimarsi, ma solo l’aridità dei sentimenti di un padre padrone feroce e quattro fratelli coltelli in preda a egoismo e autocommiserazione, impauriti dal prendere posizione e maestri nella contrattazione economica al rialzo. Un ipnotico e sconcertante ritratto di chi detiene il potere della comunicazione ma non sa palare se non a se stesso. Nella quarta e ultima stagione, dal 3 aprile su Sky e Now, i figli ribelli Kendall, Siobhan e Roman sembrano finalmente andarsi incontro, gettando però i semi per un finale senza esclusione di colpi.

La famiglia Roy imparerà dai propri errori o, come da tradizione gattopardesca cambierà tutto per non cambiare niente? Il mondo della finanza sembra gradire l’impietoso ritratto, tanto che Brian Cox, il monumentale attore scozzese che interpreta il patriarca Logan, ha aperto la borsa di Londra in un corto circuito tra fiction e realtà. Come dice Roy, you make your own reality.