Economia della Conoscenza

Serie Tv: sulla dispersione dell’immaginario collettivo

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di Sara Sagrati

The Big Hollywood Quiz è uno sketch ricorrente del Saturday Night Live, il comedian show americano in onda dal 1975, in cui i finti concorrenti rispondono a domande studiate per ironizzare sullo showbiz. In una gag andata in scena tre settimane fa con ospite la star della tv Pedro Pascal (The Mandalorian, The Last of Us) nella quale nessuno sapeva il titolo della serie più vista sulla piattaforma più popolare (per la cronaca Ginny & Georgia su Netflix) o quella in cui compare Nicole Kidman su Apple TV+ (Roar) Pascal chiede:

Dove sono finiti i grandi titoli che tutti conoscono?

Il conduttore risponde:

Ci sono ancora, ma sono nel vostro telefono e li guardate in bagno.

Come dargli torto? Eppure se possiamo seguire gli sketch del SNL in tempo reale è grazie a YouTube. Sono i pro e i contro della rivoluzione digitale che allarga il pubblico potenziale e depotenzia l’impatto nell’immaginario collettivo di film e serie tv.

Le cause sono diverse ma la proliferazione di canali e piattaforme, la differenziazione di un’offerta sempre più ampia e l’asincronia della fruizione sono certamente tra le principali. Sono finiti i tempi “del guardare tutti insieme la stessa cosa”, Sanremo a parte ça va sans dire, con alcune inaspettate eccezioni come il successo del coreano Squid Game o di Wednesday grazie al balletto di Mercoledì Addams.

E poi c’è Mare fuori. Chiunque abbia figli adolescenti se ne è accorto prima degli altri. Si tratta di una fiction Rai su un fittizio carcere minorile di Napoli a picco sul mare (ispirato all’Istituto di Nisida), apparsa su Raidue nel 2020 e arrivata alla terza stagione (in onda dal 15 febbraio). Un prodotto ben fatto, sulla scia delle sperimentazioni del secondo canale, ma ancora lontano da quella prestige tv che ha contribuito al successo culturale delle serie tv. Narrazione da teen drama classico e prevalenza di primi piani, risalta grazie all’ambientazione inedita e al cast di giovanissimi attori in cui immedesimarsi.

Andata bene in Rai, il botto vero è arrivato grazie a Netflix. Perché? Perché il target teen italiano, a dispetto della proliferazione di altre piattaforme tra cui la gratuita Raiplay, guarda prevalentemente Netflix sul telefono. Succede quindi che Mare fuori finisce per diventare parte dell’immaginario collettivo di quella nicchia una volta dominio dei Beverly Hills e Dawson’s Creek di turno, per poi allargarsi anche agli adulti.

Una buona notizia per la crescente produzione seriale nostrana in cerca di un tono di voce più autoriale, seppur popolare, come fa da tempo la coraggiosa Grøenlandia di Matteo Rovere, produttrice di La legge di Lidia Poët, una Signora in giallo ispirata alla storia della prima avvocata italiana, interpretata da Matilda De Angelis. Ambientata nella Torino del 1883 è una serie high concept come piace alle piattaforme (vedere Boris 4 su Disney+ per approfondire) che usa il genere detection, con spruzzatine romance, per una storia di emancipazione femminile. Tra anacronismi e forzature, resta un prodotto godibile da un grande pubblico.

Risultato? Mare Fuori e La legge di Lidia Poët sono al primo e secondo posto delle serie più viste su Netflix (in Italia) e la seconda conquista il terzo posto mondiale degli show non in lingua inglese, miglior piazzamento di sempre per una produzione nostrana.

Al quiz del SNL non le conoscerebbero, ma i tempi sono cambiati e il nostro immaginario collettivo con lui. E magari tra 20 anni avremo come effetto collaterale l’augurata sparizione dei programmi tv a effetto nostalgia.