Geopolitica

La guerra ibrida di Putin: perché l’Italia rischia di più. I segnali già ci sono…

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Di Serena Cammeo

Nelle regioni dell’estremo oriente della Russia hanno già aperto in anticipo le urne delle elezioni presidenziali, per gli elettori che vivono in aree remote o difficili da raggiungere. Una sorta di antipasto che continuerà fino all’inizio della consultazione vera e proprie, che per la prima volta in Russia si spalmerà su tre giorni, dal 15 al 17 marzo. Il presidente uscente Vladimir Putin corre per la presidenza, è la quinta volta, cercando di estendere il suo governo per altri sei anni. Di fatto a vita. Inutile dire che vincerà sul velluto: gli oppositori che potrebbero realmente sfidarlo al ballottaggio sono in carcere o in esilio all’estero.

Il precedente del Russiagate

Lo stesso esito elettorale non è così scontato in tutti i 76 Paesi chiamati alle urne in tutto il mondo nel 2024, che rappresentano il 51% della popolazione e la metà del Pil globale. Anche perché quello delle consultazioni popolari è uno dei terreni di scontro su cui si giocherà la partita delle guerre ibride, in cui i russi sono maestri. Fa scuola il precedente del “Russiagate”, con l’ingerenza nelle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America del 2016, che ha generato uno scandalo politico e una successiva inchiesta giudiziaria: nel frattempo Hillary Clinton perse le elezioni a favore di Donald Trump. Come ricostruito in seguito dal New York Times, l’ingerenza russa si sviluppò lungo tre direttrici: intercettazione e divulgazione di documenti del partito rivale; massicce attività fraudolente mediante profili Facebook e Twitter; contatto con associati alla campagna presidenziale di Trump.

Ora le ombre russe si allungano in Occidente su importanti consultazioni come il voto per il Parlamento europeo a inizio giugno e le presidenziali americane (di nuovo!) a novembre. Gli allarmi sono già partiti da tempo. L’ultimo in ordine di tempo arriva dai servizi segreti italiani. La relazione annuale dell’intelligence, presentata a fine febbraio da Elisabetta Belloni, numero uno del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), non ha usato mezzi termini: la Russia è l’attore più attivo in campagne ibride

«In danno dell’Italia e dell’Occidente intero». L’attenzione dell’intelligence è rivolta ai prossimi eventi che catalizzeranno campagne disinformative: oltre alle elezioni europee, la presidenza italiana del G7 e l’uscita dalla Via della seta»

L’avvento della guerra ibrida

In questi giorni Mosca ha rilanciato roboanti minacce all’Occidente, con tanto di armi nucleari e tecnologiche stellari. Ma i rischi più immediati sono invisibili ai più, e arrivano con la guerra ibrida, un approccio strategico di carattere politico-militare che fa ampio affidamento sullo scontro cyber. Applicato per la prima volta da diversi soggetti politici nei primi anni Duemila, è poi stato codificato nella teoria militare della “New Generation Warfare” del generale russo Valerij Gerasimov. In sostanza, un ripensamento delle forme e dei metodi delle operazioni di combattimento che integra  strumenti non-militari nella gestione di un conflitto: un pilastro fondamentale è l’uso di attacchi cibernetici, considerato indispensabile per pareggiare la disparità di risorse tradizionali tra l’Occidente, e la Nato, e potenze regionali come Russia, Cina, Iran.

La strategia russa sull’Italia

Il nostro Paese dunque è nel mirino russo. Basta collegare diversi episodi apparentemente isolati delle ultime settimane per capire che l’allarme non è campato in aria.
1) gli hacker Noname057, in piena mobilitazione dei trattori, hanno lanciato una serie di attacchi cyber contro siti italiani «in supporto agli agricoltori – dissero – che stanno protestando stanchi delle politiche sbagliate delle autorità italiane, che sponsorizzano il regime criminale di Zelensky».
2) Giorni dopo, Vladimir Putin ha avuto un amichevole scambio di battute con una studentessa italiana che ha fatto il giro dei media; nelle interviste la giovane sosteneva che «il racconto della Russia illiberale, dittatoriale, è una costruzione dell’Occidente».
3) È un sito italiano, Il Corrispondente, a informare il mondo della morte in Spagna del pilota russo disertore Maxim Kuzminov.

Tutte tessere della campagna ibrida di Mosca contro l’Italia, si commenta in ambienti degli 007, destinata ad alzarsi di livello con l’approssimarsi dell’appuntamento delle elezioni europee, in programma l’8 e 9 giugno. Dell’allarme è ben consapevole l’intelligence, che ha dedicato ampio spazio al tema nella sua relazione 2023.

La Russia è il Paese più attivo (seguito dalla Cina), si legge nel documento, in campagne ibride attraverso spionaggio, attacchi cyber, disinformazione, sfruttamento in chiave destabilizzante dei flussi migratori. Mosca ha anche cercato di ostacolare le iniziative italiane ed europee di diversificazione energetica e di introduzione del price cap sul gas russo con propaganda «atta a inquinare l’informazione verso il grande pubblico circa l’andamento dei prezzi dell’energia

La collaborazione tra gli 007 europei

A proposito del voto europeo e dei rischi di interferenze e condizionamenti attraverso la minaccia ibrida, Belloni ha spiegato che

«il tema della disinformazione è all’attenzione dell’Ue»

e ha aggiunto che i servizi di intelligence italiani lavorano

«in costante collaborazione con quelli degli altri Paesi europei»

E non ha poi escluso collegamenti tra lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha concentrato a Est l’attenzione del mondo, e il successivo attacco di Hamas a Israele avvenuto il 7 ottobre 2023, sottolineando i grandi pericoli che i servizi di intelligence sono chiamati ad affrontare sotto forma di attacchi alla tenuta delle economie e dei Paesi liberaldemocratici.

La Russia non è la sola, in verità. La numero uno del Dis ha rimarcato pure il ruolo negativo dell’economia coercitiva della Cina, e ha aggiunto che i servizi di intelligence sono impegnati nell’affrontarla:

«Se vogliamo mantenere politiche liberaldemocratiche, dobbiamo mettere in atto politiche difensive»

La minaccia ibrida è portata avanti da Pechino sfruttando elementi della diaspora cinese nell’Unione europea per «raccogliere informazioni di pregio; mettere in atto azioni di pressione economica; penetrare e interferire all’interno del mondo accademico e della ricerca; condurre operazioni cibernetiche ostili con maggiore efficacia; manipolare l’informazione per finalità di propaganda e per orientare, in modo favorevole alla Cina, l’opinione pubblica europea».

Cosa rischia l’Italia

Ma il pericolo più grande viene da Mosca, i cui hacker sono di abilità indiscussa. L’Italia sicuramente viene vista come un anello debole sia dell’Europa sia della Nato. A dispetto delle dichiarazioni ufficiali di filo-atlantismo di tutti i governi, il Paese è da sempre attraversato da correnti antioccidentali, di destra e di sinistra, afflitto da un antiamericanismo camaleontico. Da ciò nasce una certa ostilità popolare alla Nato, un sentimento trasversale visibile nei diversi partiti nonché in settori ampi del mondo cattolico. E che trova conferma nella ritrosia strutturale a investire nella difesa: tra il 2014 e il 2023 l’Italia è al 23° posto tra gli alleati del Patto atlantico. È il «di più» che abbiamo rispetto ad altri Paesi europei e che ha contribuito ad accentuare la nostra dipendenza dalla Russia in passato, e la nostra conseguente vulnerabilità. Senza contare che siamo anche il Paese più condizionato da un ecologismo rigido (no al nucleare, no alle trivellazioni) che ha favorito, negli anni, la nostra dipendenza energetica dalla Russia.

Nel tempo si è sviluppata un’ampia rete di interessi, sia economici che politici, tra Roma e Mosca. Ora dopo l’invasione dell’Ucraina il vento è cambiato, o quasi: abbiamo fatto una scelta di campo e tagliato i ponti (ma non tutti, vedi Salvini). Le guerre hanno la capacità, in genere, di bruciare le posizioni ambigue. Se, invece, tali posizioni non vengono davvero punite dagli elettori, vuol dire che le correnti anti-occidentali sono state in grado di resistere persino alla guerra. E che, in ultima analisi, l’Italia non cesserà di essere un caso speciale.

Attenzione ad antagonisti ed estrema destra

Con tante crepe in cui infilare qualche dito, i diversi scenari di crisi internazionali, si legge nella relazione del Dis, hanno influenzato anche l’eterogeneo mondo antagonista che, partendo dal tema della guerra, ha riproposto strategie di convergenza di temi e istanze, in un rinnovato tentativo di ampliamento e di compattezza del fronte del dissenso. Gli attivisti hanno dunque cercato di serrare i ranghi facendo perno, sia a livello propagandistico che di piazza.

L’area dell’estrema destra, nel contempo, «ha continuato a impegnarsi nel tentativo di aumentare visibilità e seguito per le formazioni più strutturate, anche in un’ottica di accreditamento politico in vista di future tornate elettorali locali». «I temi maggiormente all’attenzione – rilevano gli 007 – sono stati l’incremento delle spese energetiche, il carovita e, più in particolare, le posizioni dell’Esecutivo sui teatri di crisi esteri ritenute, dalla narrativa di settore, espressione degli interessi della Nato, della Ue e dell’”imperialismo statunitense”»

I libri di storia raccontano che a Yalta, a chi gli faceva presente le esigenze di Pio XII sull’assetto europeo, Stalin rispose con una domanda: «Quante divisioni ha il Papa?». E che nel 1953, all’annuncio della morte del leader sovietico, papa Pacelli avrebbe detto a un intimo: «Ora Stalin vedrà quante divisioni abbiamo lassù!». Molte cose sono cambiate, da allora, a livello geopolitico, tecnologico, militare. Se oggi ci fosse un’altra conferenza mondiale per la spartizione delle aree d’influenza, al di là del fatto che rischierebbe di essere molto più affollata rispetto ai quattro leader di Yalta, la domanda di Putin a Papa Francesco magari sarebbe: «Quanti troll ha il Vaticano?».