Geopolitica

Navalny e non solo. La visione di Putin che in Europa non tutti capiscono

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Alla conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco il clima era cupo, pessimista, ancora prima di apprendere la notizia della morte del più famoso oppositore di Putin, Alexej Navalny, in una colonia penale a duemila chilometri da Mosca, oltre il Circolo Polare Artico.

Il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis ha sintetizzato in un thread su X l’umore tetro di questa conferenza dove lo stesso leader del Cremlino raggelò la platea nel 2007 con un vero e proprio discorso programmatico nel quale affermò che l’ordine mondiale post-89 e soprattutto post 1991 non gli andava bene. Da lì in avanti abbiamo saputo, anno dopo anno, che avrebbe fatto di tutto per «aggiustare le cose» secondo una sua visione apparentemente messianica della Storia.

In Occidente non tutti, anzi pochi, hanno compreso questa visione distorta che l’ha portato a invadere la Georgia, ad annettersi la Crimea, ad avviare un conflitto nel Donbass e, infine, a invadere l’Ucraina, ormai due anni fa. Un percorso netto piuttosto chiaro, costellato dalla morte dei personaggi che hanno più aspramente criticato le azioni di Putin mettendo in evidenza il sistema di corruzione, clientelismo e conseguente arricchimento alla base del suo potere.

Navalny è l’ultimo di una lunga lista di vittime del regime poiché è morto sotto la responsabilità dei suoi aguzzini, dei suoi carcerieri, dopo essere stato oggetto di persecuzione politica, tentativo di avvelenamento, processi farsa e condizioni di prigionia sempre più aspri e disumani.

Questa è la Russia di Putin, che a metà marzo si prepara a rieleggere presidente il suo padre-padrone trasformandolo ancora di più in un leader a vita. È la Russia di Putin che continua a bombardare obiettivi civili in Ucraina, dove torna a mettere a segno importanti conquiste territoriali. È la Russia di Putin che ha saputo trasformare il fiasco iniziale (il tentativo di prendere Kiev in pochi giorni) in una guerra di logoramento dove il tempo sembra essere dalla sua parte. E dove i danni delle sanzioni Occidentali per il momento sono attenuate dalla “grande anestesia”, la riconversione dell’economia in un’economia di guerra, tutta o quasi votata a sostenere lo sforzo bellico della fatidica “operazione speciale”.

È questa l’entità geopolitica, guidata da un leader che non deve rispondere a nessuno delle proprie azioni, con la quale l’Occidente (Europa e Stati Uniti) deve confrontarsi. E lo deve fare in un anno che può rappresentare uno snodo fondamentale delle relazioni transatlantiche a causa delle incombenti elezioni presidenziali americane. In questo senso il thread del ministro degli Esteri lituano è interessante poiché pone un grande punto di domanda sulle reali intenzioni dell’Europa nel sostegno dell’Ucraina. All’Europa, scrive in sostanza Lansbergis, non mancano i mezzi per arginare Putin aiutando Kiev. Quello che manca è una volontà politica ampiamente condivisa e in questo modo l’Europa è un libro aperto, facile da leggere e prevedibile, quindi vulnerabile.

La percezione del pericolo rappresentato da Putin è diversa tra gli Stati europei. Chi ha maggiore percezione di questo pericolo lo deve alla storia e alla geografia, non all’ideologia. Per questo non vuole abbandonare l’Ucraina al proprio destino perché il destino dell’Ucraina è anche il loro, e a ben vedere, visto il doppio legame Ue-Nato, anche il nostro. Questo in molti altri Paesi europei, compresa l’Italia, non viene ben compreso. Le reazioni imbarazzate e silenzi imbarazzanti di molti politici italiani, dell’opposizione e non, di fronte alla morte di Navalny, confermano un sottofondo pericoloso di ignoranza e malafede.

Perfino il cauto cancelliere tedesco Olaf Scholz ha parlato di responsabilità diretta legata al Cremlino, non meno esplicito è stato il presidente francese Emmanuel Macron. Come sempre è toccato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, tenere alta la bandiera dell’Italia con una reazione appropriata.

Putin aspetta l’esito delle presidenziali Usa con più trepidazione di una famiglia di farmer dell’Iowa. L’incitazione di Trump a fare quello che la Russia vuole dei Paesi (europei) che non spendono abbastanza in difesa, è soltanto l’anteprima di ciò che potrebbe accadere se il candidato repubblicano dovesse partecipare e vincere le elezioni di novembre.

Il Congresso continua a non approvare decine di miliardi di aiuti militari all’Ucraina, a Israele e Taiwan e al momento non si sa se e quando il presidente Joe Biden riuscirà a sbloccare la situazione.

Ciononostante, la sfida è ancora più difficile per l’Europa, che si trova a fronteggiare il leader di un Paese animato da una forte volontà e attitudine bellica. L’Unione europea sta cercando a fatica di trasformarsi in un’entità geopolitica senza ben comprendere ciò che questo tentativo comporta, in termini di difesa e sicurezza. La prospettiva di un ritiro degli Stati Uniti dalla Nato o di un suo mancato rispetto dell’Articolo 5 sull’aiuto a un Paese aggredito proietta in questi mesi l’Unione in un limbo che potrebbe causare ancora più apatia e indecisioni su come procedere nel sostegno a Kiev.

Di apatia e indecisione si nutre Putin, fino a rigenerarsi.