La Settimana Internazionale

I “partigiani di Dio” che sfidano l’Occidente e l’economia globale

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Dalla fine di ottobre il gruppo dei ribelli Houthi ha iniziato a prendere di mira con droni e missili le navi mercantili in transito nello Stretto di Bab el-Mandeb, la porta di accesso tra Mar Rosso e Oceano Indiano indispensabile per la navigazione tra Europa e Asia attraverso il Canale di Suez.

L’organizzazione rivendica gli attacchi come un’azione in solidarietà dei palestinesi in guerra con Israele nella Striscia di Gaza, affermando di colpire solo le navi legate allo stato ebraico. Il criterio con cui vengono identificati gli obiettivi però sembra del tutto arbitrario, e di conseguenza le principali compagnie di trasporto marittimo (non solo occidentali) hanno interrotto la navigazione nel Mar Rosso.

Stati Uniti e Regno Unito hanno schierato la missione navale Prosperity Guardian a difesa di Bab el-Mandeb, cercando – senza particolare successo – il supporto più vasto possibile tra gli alleati occidentali e mediorientali.

Nella notte dell’11 gennaio gli angloamericani con il sostegno di Australia, Bahrein, Canada, Paesi Bassi, Danimarca, Germania, Nuova Zelanda e Corea del Sud hanno lanciato il primo attacco aereo e missilistico a obiettivi militari nelle aree dello Yemen controllate dagli Houthi, mentre l’Unione europea valuterà una missione nel Mar Rosso nel vertice tra ministri degli Esteri in programma per il 22 gennaio. Nessuno però si aspetta una rapida soluzione della crisi, questa milizia yemenita ha alle spalle un decennio di conflitti, una struttura diffusa e decentralizzata, e grandi ambizioni.

Il movimento degli Houthi, il cui nome ufficiale è “Ansar Allah” (partigiani di Dio), è un clan di musulmani sciiti nato negli anni ‘90 da un’organizzazione, inizialmente pacifica, fondata da Hussein al-Houthi per difendere gli zaiditi, una branca dell’Islam sciita presente nella parte occidentale dello Yemen.

Sono emersi come gruppo armato e forza politica negli anni duemila, in contrapposizione con il governo dell’allora presidente, Ali Abdullah Saleh, che accusavano di discriminazione nei confronti della comunità zaydita-sciita. Negli anni successivi gli Houthi hanno guadagnato forza, ingaggiando conflitti con il governo centrale e le altre forze yemenite, e iniziando a ricevere un supporto militare crescente dall’Iran che voleva portarli nel cosiddetto “asse della resistenza”, la rete di milizie sciite filo-iraniane del Medio Oriente schierate contro Israele, Stati Uniti e l’Occidente in generale.

Uno dei momenti cruciali dell’ascesa del gruppo è stato il periodo di grave instabilità politica dello Yemen nel 2011, quando le proteste popolari hanno portato alla rimozione del presidente Saleh. Gli Houthi hanno sfruttato il momento di caos per estendere la propria influenza, e nel 2014 hanno occupato la capitale, Sana’a.

Ciò ha portato a una divisione de facto dello Yemen, con gli Houthi che controllano un terzo del Paese dove però vive circa il 70 per cento della popolazione. Da allora il gruppo è impegnato in una guerra sanguinosa con il governo centrale dello Yemen, sostenuto da una coalizione di paesi arabi guidati dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti.

Sebbene non vi sia stato alcun intervento diretto da parte iraniana, la guerra civile nello Yemen è ampiamente considerata come parte del conflitto per procura tra Iran e Arabia Saudita. Nel 2022 è stata raggiunta una tregua e, anche se irrisolto, da allora il conflitto è rimasto congelato. È per questo motivo che Riyadh e gli altri attori regionali hanno scelto di non unirsi alla coalizione a guida statunitense nel Mar Rosso.

Il pericolo maggiore adesso è che la minaccia si allarghi ulteriormente, coinvolgendo l’Iran in uno scontro con gli Stati Uniti e mettendo a rischio anche la navigazione nello Stretto di Hormuz, la rotta principale per le esportazioni di petrolio. Washington afferma che l’intelligence iraniana è fondamentale per consentire agli Houthi di prendere di mira le navi, ma Teheran nega, affermando che il gruppo agisce per conto proprio.

L’indipendenza degli Houthi non va sottovaluta. Nel breve termine la coalizione occidentale dovrebbe riuscire a degradare la loro capacità di attaccare le navi commerciali, ma nel medio-lungo periodo il gruppo yemenita può uscirne più forte. La questione palestinese ha grande presa nelle opinioni pubbliche del mondo arabo, e gli Houthi vogliono usarla per dare una prova di forza e legittimarsi dentro e fuori lo Yemen, diventando un attore di primo piano della geopolitica del Medio Oriente.