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Auto coreane facili da rubare: per le case è colpa dei tutorial social e dei poliziotti pigri

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Qualche mese fa si scoprì che in giro per il mondo ai ladri piaceva rubare autovetture Kia e Hyunday. Un’ondata di furti senza precedenti che aveva portato la clientela a ritenere che quei veicoli fossero privi di un adeguato sistema capace di contrastare le “cattive intenzioni” di chi voleva sottrarre la vettura.

Le aziende costruttrici si sono affrettate a discolparsi e hanno puntato il dito contro Tik Tok e Instagram.

Se qualcuno resta sbalordito che siano state chiamate in causa le società che gestiscono quelle piattaforme digitali di intrattenimento, è bene sapere che sui social in questione venivano condivise le istruzioni dettagliate per by-passare le protezioni tecnologiche e rubare le auto.

Oltre a veri e propri tutorial per chi volesse intraprendere una soddisfacente carriera criminale, una serie di clip video distribuiti online costituivano la vetrina – è il caso di dirlo – delle autovetture che materialmente erano state portate via ai legittimi proprietari.

Gli autori delle malefatte mostravano con orgoglio il loro bottino, valorizzando l’efficacia delle modalità spiegate nei filmati di “formazione professionale” largamente condivisi in Rete.

In termini pratici i “corsi da remoto” per diventare “ladri di auto Kia e Hyunday” hanno avuto talmente successo che si sono innescate vere e proprie competizioni tra chi voleva dimostrare di aver capito come si fa e di esser capace di ripetere con successo l’applicazione pratica delle indicazioni ricevute. L’infinità di “challenge” innescate via Internet, che hanno visto entrare in competizione ragazzi di ogni genere che volevano dimostrare di aver acquisito abilità straordinarie, sono un evidente segnale di fragilità dei meccanismi a tutela della proprietà privata dei mezzi di trasporto diventati facile preda anche per banditelli improvvisati.

Una class action da 200 milioni di dollari, pendente dinanzi alla Corte Distrettuale della California, include un capitolo il cui titolo è drammaticamente emblematico: «I social media e l’intervento di criminali di terze parti hanno causato un aumento senza precedenti dei furti».

Chi osserva che dalle nostre parti non sia esplosa la mania di sgraffignare veicoli di quelle marche è portato a pensare che la “formazione a distanza” via Tik Tok e Instagram fosse in inglese e che – fortunatamente – i giovanissimi italiani non si applichino a dovere nello studio scolastico degli idiomi stranieri.

Resta il fatto che Hyundai ha dovuto annunciare a febbraio scorso la predisposizione di un aggiornamento software per irrobustire i sistemi elettronici presenti sulle macchine ed evitare che qualcuno potesse approfittare delle “dritte” tecniche per entrare indebitamente in possesso delle auto lasciate in parcheggio dai legittimi proprietari. Il nuovo assetto informatico prevederebbe che il motore – in caso di tentativo di avvio senza preventiva disattivazione dell’allarme – si spenga e blocchi l’auto. Ma – è lecito domandarselo – perché in precedenza non era stata prevista questa elementare cautela?

Kia e Hyundai hanno affidato agli studi legali Quinn Emanuel Urquhart & Sullivan LLP di Los Angeles e Jenner & Block LLP di Chicago la difesa e l’esito della contesa giudiziaria incuriosisce anche chi viaggia con auto di altra marca.

Le aziende automobilistiche accusate da ben 17 città sostengono che l’accaduto e il suo diffondersi sia anche colpa delle polizie locali che non avrebbero arrestato e perseguito i ladri.

Colpa degli sbirri o di chi non ha montato un componente da pochi dollari che ogni altra vettura in commercio aveva?