Le opinioni

Si fa presto a dire digitale: prima semplifichiamo le cose complicate

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Abbiamo bisogno di più uffici per la semplificazione degli affari complicati.

Mi spiego. Non so voi, ma io ho la sensazione che da un po’ di tempo fare le cose sia sempre più complicato. Lo dico in modo generico e senza specifici riferimenti temporali perché lo considero un problema bipartisan. La trasformazione dei rapporti tra cittadini e Pubblica amministrazione, dei dipendenti con le aziende, degli imprenditori con lo Stato è, nella mia esperienza e in quella delle persone attorno a me, non come mi sarei aspettato. O perlomeno, per dirla meglio: non sta migliorando alla velocità con la quale ci si aspetta che riusciamo a fare le cose.

Perché a ben vedere questo potrebbe essere anche un problema diverso: non è tanto la nascita di nuovi uffici complicazioni affari semplici (a riguardo, c’è anche un bel libro omonimo scritto da Sergio Scalia che tratta del rapporto cittadini-burocrazia) quanto piuttosto l’accelerazione della vita digitale alla quale non riusciamo a tenere il passo. Mi spiego meglio.

La “promessa” del digitale è che migliori notevolmente l’efficienza operativa e porti a una maggiore produttività. La realtà è molto diversa. Jeann Ross della Mit Sloan Management Review, individua rapidamente il punto: le aziende, grandi o piccole, sono entità molto più complesse di quanto non pensiamo. Sono fatte di persone, hanno una storia, dei processi interni, una memoria. Bella idea “digitalizzare tutto”, ampliando gli orizzonti e trovando nuove aree di business forse inedite o comunque prima impossibili. Tuttavia, una strategia digitale, per quanto ispirata, è appena sufficiente per iniziare.

Le aziende, come le persone, hanno dei problemi, delle mancanze, delle irregolarità. Cose di cui è necessario tenere conto. E non finisce qui. Scrive la Ross:

«Per la maggior parte delle aziende consolidate è più probabile che siano le carenze operative, piuttosto che la mancanza di pensiero strategico, a frenare la loro capacità di competere a livello digitale. Queste carenze operative non saranno facilmente risolvibili».

Dando questa lettura al problema, il nemico della digitalizzazione è la complessità. O, per meglio dire, una eredità eccessiva del mondo analogico. Ce ne stiamo rendendo conto e alcuni esempi, apparentemente sconnessi, sono lì a testimoniarlo. Lego è diventata la più grande azienda di giocattoli al mondo non producendo più giocattoli, ma ripulendo la sua catena di approvvigionamento. Lo ha fatto dandosi una regola semplice: ogni nuova scatola richiede il riutilizzo dei mattoncini e delle minifigure esistenti piuttosto che produrne di nuove.

Un’altra. UPS, lo spedizioniere concorrente di FedEx, ha raddoppiato la raccolta dei dati sui pacchi che gestisce. E ha fatto uno sforzo notevole per sviluppare processi disciplinati e standardizzati per acquisire e utilizzare questi dati. L’azienda si preoccupa anche dei dati dei clienti, certo, ma molto relativamente, perché il suo lavoro è quello di consegnare i pacchi in orario e nel posto giusto.

Semplificare un’azienda è difficile ma essenziale. Il digitale è intervenuto come una specie di livella che sta spaccando in due il mondo del business. Da una parte c’è chi lo usa e dall’altra c’è chi lo usa male (una volta avrei scritto: «chi non lo usa», ma in realtà anche il chiosco che vende frutta lungo la provinciale se è furbo si è fatto la pagina Facebook).

Un’azienda consolidata (ma anche una pubblica amministrazione) non ha alcuna speranza di fornire una buona esperienza al cliente in modalità multi-canale se i suoi processi aziendali sono disordinati e complessi. Per diventare digitali, le aziende hanno bisogno di semplificare tutto, identificando l’essenza delle loro operazioni e snellendo i processi. Quindi, la prossima volta che mi troverò dentro qualche pagina di servizi digitali privi di senso tranne che per chi li ha disegnati, se non altro saprò che a quell’azienda o amministrazione manca un ufficio per semplificare gli affari complicati.