Le opinioni

Un augurio per il 2024: impariamo a collaborare

Scritto il

Tempo di tirare qualche somma sul 2023 e sbirciare il 2024. Abbiamo vissuto un anno veramente particolare. Per molti è stato un anno “post”: post pandemia, post lavoro, post recessione, post spread impazziti e post risorse (europee) perdute. Non è stato un anno perfetto, ma per molti versi alcuni dei problemi che l’Italia si porta dietro sono impossibili da superare, almeno in un solo anno. Un esempio è l’andamento dei salari reali nel nostro Paese. Tra il 1991 e il 2022, cioè per ben 31 anni, è rimasto fermo, con una crescita di appena l’1%, a fronte del 32,5% in media registrato nell’area Ocse. È una statistica che non potrebbe cambiare neanche Mandrake, perlomeno non in un anno.

Tuttavia, le cose non sono andate affatto male. Ad esempio, non siamo entrati in quella recessione che molti economisti davano per scontata. La disoccupazione è rimasta stabile con un record di occupati (23,6 milioni) che a sua volta porta a un fenomeno emergente inedito, perlomeno da noi. È il labour shortage, cioè la carenza di lavoratori: la difficoltà dei datori di lavoro a coprire i posti vacanti.

Tutto rose e fiori? Ovviamente no. Nel settore del lavoro e la filosofia che c’è dietro, sta emergendo un problema di mentalità. Molti giovani nel nostro Paese si muovono su binari decisamente vecchi. Ripetono schemi e modelli ormai superati, obsoleti, senza portare alcun contributo di innovazione. È sbagliato, perché il potenziale di una persona non è legato all’età ma alla sua passione, alla sua voglia di apprendere e, perché no, anche alla sua intelligenza. Essere giovani o vecchi conta relativamente. E poi, diciamoci la verità, non è neanche merito nostro: il tempo passa comunque, malgrado noi.

C’è un’altra qualità che manca: la capacità di collaborare. Siamo troppo orgogliosi e individualisti. L’istinto è quello di andare ognuno per la sua strada. Un peccato spesso mortale perché, quando si trova qualcuno più bravo di noi, la scelta giusta invece è quella di collaborare, non di mettersi in competizione. Tuttavia, come diceva Enzo Ferrari «Gli italiani perdonano tutto, ma non il successo», neanche sul posto di lavoro.

Infine, c’è un terzo aspetto preoccupante: ci stiamo già adagiando sul passato prossimo. Ad esempio, nel 2023 abbiamo fatto la nostra conoscenza con l’Intelligenza Artificiale, sulla quale molti ricercatori ignorati da quasi tutti lavoravano da tempo. È rivoluzionaria, sì, ma la prossima innovazione quale sarà?

Dopo la nascita di un intero settore economico basato sugli uni e gli zeri che vale migliaia di miliardi, la “next big thing” è il nostro stesso codice genetico. Non so quale sarà la forma concreta che prenderà la rivoluzione delle scienze biologiche, se sarà davvero la carne allevata oppure saranno nuovi farmaci rivoluzionari, trapianti di organi sintetici, malattie mortali cancellate. In ogni caso, è tutto pronto: abbiamo il codice del genoma umano, il potere di usarlo e le risorse economiche per farlo.

La scintilla di questa rivoluzione sta nel fatto che adesso si può fare molto con investimenti ridotti. È il segreto della ricerca scientifica, una caratteristica che era stata vista da Mark Twain già da 140 anni. «C’è qualcosa di affascinante nella scienza», scriveva nella sua autobiografia Vita sul Mississippi. «Si ottengono così tante congetture da un investimento così insignificante sui fatti».

Se le tecnologie sono una commodity, allora cosa può fare la differenza? Il fattore umano. Servono menti brillanti, che abbiano imparato a collaborare tra di loro e abbiano il coraggio di precorrere schemi nuovi, mettendo in discussione lo status quo. Questo è quello che dovremmo cercare nel 2024 e oltre.