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Statuto del contribuente: rischio boomerang del contraddittorio obbligatorio

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È la Charta fondamentale che – attuando la Costituzione ‒ regola dal 2000 i rapporti tra contribuenti e fisco, certamente con grandi progressi rispetto al passato, anche se spesso è stata disattesa o travisata. È lo Statuto dei diritti del contribuente, che ora ‒ con la riforma tributaria ‒ viene aggiornato, potenziato e riproposto in una sorta di versione 2.0.

Dopo un tour de force, durante la seconda metà dello scorso anno, che ha impegnato commissioni di addetti ai lavori e studiosi, cominciano a vedere la luce i primi provvedimenti attuativi della riforma fiscale fortemente voluta dal Governo. Alcuni sono all’esame del Parlamento, altri sono stati già pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale: sulla revisione dell’Irpef, del processo tributario, sulla cooperative compliance, e appunto sullo Statuto del contribuente. Numerose le modifiche e le integrazioni allo Statuto, che ne hanno fatto un testo più corposo e complesso, non privo di curiosi refusi (“nonne” al posto di “norme”), prontamente corretti.

Alcune novità riguardano aspetti tecnici e specialistici, altre sono di interesse più generale, e tra queste: l’obbligo di contraddittorio preventivo, l’accesso alla documentazione normativa ed amministrativa, il legittimo affidamento, il divieto di bis in idem, il principio di proporzionalità e l’autotutela, la motivazione degli atti e il diritto di interpello.

Un tema scivoloso è proprio quello del contraddittorio obbligatorio prima della emissione di un accertamento fiscale. Per anni, da più parti, si è invocato quest’obbligo a garanzia della difesa del contribuente. Prima, era previsto solo in casi particolari (per esempio, nel caso di sospetta elusione), anche se difficilmente veniva negato se richiesto dal contribuente. Ora è diventato (quasi) sempre obbligatorio.

Tutto bene, dunque? Non proprio, c’è il rischio di un effetto boomerang. Il contribuente è ora praticamente costretto ad esporre le proprie difese al fisco prima che al giudice tributario, e non è detto che questo sia sempre conveniente, perché può attribuire un vantaggio alla controparte nella successiva fase contenziosa. Addirittura, il contribuente che vince in giudizio sulla base di documenti non esibiti durante il contraddittorio preventivo non ha diritto al rimborso delle spese processuali. Filosofi e giuristi la chiamano eterogenesi dei fini; un’iniziativa nata con le migliori intenzioni può produrre effetti opposti a quelli desiderati. Di sicuro, la soluzione adottata pecca di ingenuità e pare attuata con una certa maliziosità.

Più interessante il potenziamento dell’autotutela tributaria, cioè del potere/dovere dell’amministrazione finanziaria di correggere o rimuovere i propri errori. Fino ad oggi, più un potere che un dovere, raramente esercitato per un malinteso senso di salvaguardia dell’interesse fiscale, oltre che per paura della firma. Ora invece, solo in certe ipotesi, c’è un vero e proprio obbligo di autotutela: in caso di errori, di persona o di calcolo, sul tributo o sul presupposto, di mancata considerazione di pagamenti, di documenti o di errori manifesti del contribuente. Assurdo che sia stata necessaria una norma ad hoc per rimediare ad errori così evidenti. Rimane poi il potere, senza dovere, negli altri casi; non è molto, ma è meglio accontentarsi.

Insomma, nonostante qualche criticità, il cammino verso un rapporto fiscale più equilibrato e corretto ha fatto passi avanti. L’importante è non fermarsi, perché alle norme astratte seguano fatti concreti.