Le opinioni

ChatGPT, più che la privacy ne va del futuro

Scritto il

di Umberto Rapetto
(Generale Gdf – già comandante Nucleo Speciale Frodi Telematiche)

Il blocco del Garante Privacy è stato scardinato dalle promesse di OpenAI, l’azienda d’oltreoceano che ha realizzato il sistema di intelligenza artificiale generativa più famoso al mondo. La paura che ChatGPT possa violare la riservatezza dei nostri dati personali è finita.

Il peso delle preoccupazioni in proposito è proporzionale a quello di chi – comprando un’auto – teme che la nuance del colore scelto non sia quella giusta, senza nemmeno prendere in considerazione costo di manutenzione e gestione del veicolo, ingombro, consumi, prestazioni o semplicemente l’effettiva utilità per l’acquirente.

La pericolosità di certe soluzioni tecnologiche dovrebbe inquietare non per la loro pur importante famelicità di informazioni, più o meno sensibili, ma anche e soprattutto per l’impatto sul destino dell’umanità.

Il processo di rimbecillimento collettivo è avviato da tempo e gli assistenti vocali sono stati la prima polpetta avvelenata che ha innescato la mitridatizzazione, ovvero la lenta, progressiva assuefazione a prodotti venefici che non porta a immunizzarsi ma conduce ad accettarne la coesistenza e la loro eventuale prevalenza.

Chi preferisce accendere l’interruttore della luce nella stanza rivolgendosi ad Alexa, Google Home o altre bestialità elettroniche anziché pigiare di persona quel pulsante, è ben avviato verso la serena accettazione che qualcuno provveda in sua vece. La chiamano “comodità”. Qualcuno affibbia a certe idiozie persino l’etichetta di “progresso”.

Mentre tutti sono impensieriti dal rischio di potenziale infedeltà del coniuge, nessuno tra gli utenti di certi dispositivi si è posto mai il problema che il tanto adorato attrezzo di uso quotidiano possa tradire, prender ordini da qualcun altro, magari un domani agire di propria iniziativa addirittura in contrasto con la volontà del proprietario, o – senza lasciar volare la fantasia – dare risposte e consigli sbagliati.

L’approdo di ChatGPT (che è un banale schizzo d’acqua sugli scogli se paragonato allo tsunami di analoghe avveniristiche soluzioni che ci sta per travolgere) ha innescato legittima curiosità e improvvido affidamento. Il poter chiacchierare e farsi dire ha ipnotizzato chi guarda a smartphone, tablet e PC come Brunilde – la regina cattiva di Biancaneve – il suo specchio magico.

L’assaggio di ChatGPT ha ingolosito e lo stop del Garante Privacy italiano ha dato quel pizzico di proibito che rende ancor più allettante l’oggetto del desiderio. Il sapere che «adesso si può», che «ora è tutto sotto controllo», che «non è più pericoloso come si potesse pensare» equivale al premere l’acceleratore dimenticando di non avere freni culturali per fermarsi in tempo.

Le cosiddette “chatbot” non si limitano a scrivere temi per studenti svogliati o articoli per editori che non vogliono avere costi di redazione, ma stanno diventando l’interlocutore ideale per chi non sa a chi chiedere o con chi sfogarsi. Ne esistono (come “Replika”) capaci di offrire alla clientela veri e propri “avatar su misura” che parlano e ascoltano, illudendo di aver trovato un amico sincero, un consigliere personale finalmente disinteressato. La difficoltà a trovare compagnia – incrementata dalla pandemia – ha fertilizzato il terreno.

A marzo scorso un trentacinquenne belga, profondamente depresso, si è suicidato dopo aver “dialogato” con la chatbot “Eliza” sul futuro dell’ambiente. La macchina non aveva dato prospettive favorevoli e lui ha preferito farla finita prima dell’imminente disastro…