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Dalle scarpe allo shampoo: l’universo delle reputazioni e l’arte delle sfumature

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Nel fervido panorama della comunicazione moderna spesso si sente parlare di “reputazione”. Cosa significa davvero? E, soprattutto, esiste una singola reputazione o molteplici interpretazioni di essa?

Partiamo da un concetto cardine: la reputazione non esiste, esistono le reputazioni. Una dicotomia nasce subito tra ciò che un’entità (sia essa un individuo o un’azienda) fa e come ciò viene percepito dall’esterno. Se cosa viene percepito supera di gran lunga ciò che viene davvero fatto, ci troviamo di fronte a una frode reputazionale. Al contrario, se ciò che un’entità fa è notevole ma viene percepito in modo marginale, o non viene percepito affatto, l’opportunità viene sprecata.

La trama si infittisce. Ogni driver, ovvero ogni azione o iniziativa intrapresa, e ogni stakeholder, ovvero ogni persona o gruppo interessato, presentano almeno cinque sottocategorie reputazionali. Una complessa rete di relazioni e percezioni al centro del mio libro “Reputazione: Capitale del Terzo Millennio”, dove ne esploro in profondità le molteplici sfaccettature.

Spesso il tallone d’Achille reputazionale di molte aziende risiede in una mancanza di consapevolezza: non conoscere il proprio target. Ignorare a chi ci si rivolge e chi dovrebbe avere una percezione chiara e positiva della nostra reputazione può portare a gravi conseguenze.

Prendiamo l’esempio di Enel: la sua reputazione verso i clienti finali potrebbe non essere la priorità. Del resto la luce o si accende o rimane spenta, non c’è una “qualità superiore” in gioco. Per Enel ciò che realmente conta sono le relazioni istituzionali, la reputazione finanziaria e l’abilità di mantenere i prezzi competitivi. Un’azienda del settore alimentare dovrebbe invece porsi la reputazione del prodotto come priorità assoluta. Non importa quanto eccellente sia la reputazione in ambiti diversi; se il prodotto non soddisfa, le altre qualità diventano secondarie.

Nell’universo delle reputazioni comprendere il proprio posizionamento diventa fondamentale. La reputazione non si limita soltanto a come un’entità viene percepita ma anche in relazione a cosa. L’analisi del prodotto o servizio, il messaggio associato e il target di riferimento diventano cardini ma è altrettanto cruciale comprendere il panorama circostante.

Ipotizziamo una realtà in cui la reputazione si sviluppi come un mercato: in che modo un’entità si colloca rispetto ai “concorrenti reputazionali”? Questo esercizio di introspezione e di analisi esterna permette di specificare il proprio spazio nell’immaginario collettivo e di distinguersi.

Supponiamo ci sia un’azienda che si occupa della vendita di scarpe. La sua reputazione non potrà essere univoca: le scarpe da ginnastica evocano sensazioni e necessità diverse rispetto a quelle da trekking. Per ciascuna tipologia di scarpa dovrà costruire una reputazione mirata, destinata a coloro che cercano un particolare tipo di calzatura.

Stessa dinamica nei prodotti di consumo come lo shampoo: la reputazione di un marchio non può basarsi su una comunicazione generica. Immaginate di avere un unico shampoo ma di segmentare la comunicazione (quindi la reputazione) basandosi su chi lo utilizza dopo un allenamento in palestra, o chi vuole un prodotto specifico per i capelli stressati dall’uso frequente di un casco da moto. Il prodotto potrebbe essere lo stesso ma la narrazione e la percezione cambiano completamente.

In definitiva, la reputazione si costruisce e si nutre di dettagli, di sfumature. E, come in una sinfonia, ogni nota va suonata con precisione per creare l’armonia perfetta. Conoscere il proprio target e il contesto in cui si opera non è solo un atto di marketing, ma un imperativo per costruire e gestire una reputazione solida e distintiva.