Le opinioni

Dilaga in Europa l’economia delle piattaforme

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di Cesare Damiano – Ex ministro del Lavoro, Presidente Associazione Lavoro & Welfare

Quando nel discorso pubblico si discute di Gig Economy il pensiero si rivolge, prevalentemente, a colui che indichiamo come il “rider”. Insomma, il “ciclo-fattorino”, figura emersa con forza sempre maggiore nei giorni della pandemia. Ogni giorno vediamo le strade delle nostre città solcate da un gran numero di giovani, (e anche meno giovani), con sulle spalle il caratteristico zaino cubico identificato da colori aziendali, che in bicicletta o in scooter trasportano pasti da un ristorante a un’abitazione, indirizzati da un’app che li geo-localizza e disegna sulle strade una trama di rapporti “percorso-tempo” digitalizzati e organizzati da un algoritmo.

Bene, la notizia è che quelle mappe digitali invisibili sono solo il vertice più visibile di una topografia straordinariamente più vasta, l’evoluzione e le dimensioni della quale, perlopiù, ci sfuggono. È la geografia dell’economia delle piattaforme, che sta influenzando radicalmente il mondo della produzione e del lavoro senza, o perlomeno prima, che ce ne accorgiamo.

Il 12 giugno, il Consiglio d’Europa dei Ministri del lavoro ha licenziato delle linee guida per giungere a una direttiva europea sui rapporti di lavoro in questo settore. Proposte che sono accompagnate da una raccolta di dati assemblata dalle Istituzioni dell’Unione. Dati ai quali è senz’altro utile dare un’occhiata per farsi un’idea della dimensione dei fenomeni in evoluzione nel settore dell’economia delle piattaforme. Le Fonti sono studi e ricerche elaborati, a partire dal 2020, da Dipartimenti della Commissione europea, dal Center for European Policy Studies, e da Eurostat.

Prima di giungere all’universo del lavoro collegato alle piattaforme digitali, diamo un’occhiata all’economia e alle dimensioni del settore.

Innanzitutto, scopriamo un dato difficile da immaginare: l’Europa è terra di imprenditoria delle piattaforme. Infatti, di quelle attive nel territorio dell’Unione, il 77% ha sede proprio all’interno dei suoi confini, il 12% in Nord-America, l’8% in altri Paesi europei, il 2% in Asia e l’1 % in Oceania.

Il fatturato del settore è cresciuto di cinque volte in quattro anni: da 3,4 miliardi di euro del 2016 ai 14 miliardi del 2020.

E veniamo al lavoro e alla manodopera che lavora per queste imprese digitali. Cominciando da un dato impressionante: l’Unione calcola che, nel 2022, questa coorte di lavoratori fosse di oltre 28 milioni di persone – solo uno in meno dei 29 milioni di attivi nella manifattura. Una coorte destinata a crescere esponenzialmente, per raggiungere i 43 milioni di operatori nel 2025, con una crescita potenziale del 52%.

Il “profilo tipico” è composto da giovani maschi dotati, perlopiù, di diploma della scuola secondaria, il sevizio dei quali presso una piattaforma rappresenta una fonte secondaria di reddito che si somma a un altro lavoro regolare. Il reddito proveniente dal lavoro per piattaforme digitali è così suddiviso: 39% autisti; 24% consegne di cibo, traslochi e trasporti, spesa a domicilio; 19% servizi domestici; 7% servizi professionali come la contabilità; 6% attività freelance di graphic design e photo editing; 3% assistenza a domicilio all’infanzia e per la salute; 2% altri “micro compiti”. Una varietà di funzioni, perciò, ben più ampia di quanto si possa immaginare di primo acchito.

Il rider è solo la punta di questo iceberg.

C’è insomma, molto da imparare. E da ben considerare per affrontare efficacemente quel che si presenta, al di là della nostra percezione, come un vero “mondo nuovo” della produzione e del lavoro.