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Foto intime online e ricatti in rete: una brutta storia a lieto fine

Scritto il

di Umberto Rapetto
Generale Gdf – già comandante Nucleo Speciale Frodi Telematiche

Madison Conradis, 34 anni, lavora come impiegata e si occupa di marketing ma – molto carina – in passato ha fatto la modella. Qualche tempo fa viene a sapere che i siti web di alcuni fotografi erano stati violati dai pirati informatici e tra quei nomi riconosce un professionista che una decina di anni fa le aveva scattato alcune foto di nudo.

Purtroppo ha scoperto che certe sue immagini (assieme al suo nome e alle informazioni di contatto) erano su “4chan”, un sito web illegale che consente agli utenti di postare in modo anonimo su argomenti diversi come musica, supremazia bianca, pornografia…

La povera donna, infatti, ha cominciato a ricevere su Facebook messaggi diretti da utenti registrati con nomi falsi come “Joe Bummer” che le chiedevano di inviare nuove foto esplicite, altrimenti avrebbero diffuso ulteriormente le foto già circolanti online.

Alcune foto sono arrivate nei messaggi Instagram di suo padre, mentre i clienti che rientravano nella sfera dei suoi interlocutori nelle quotidiane attività di marketing le hanno parlato delle immagini di nudo arrivate fino a loro.

Una sera Madison, mentre era alla festa di un amico, ha ricevuto una chiamata in preda al panico dal direttore del ristorante dell’hotel dove aveva lavorato: le foto erano arrivate anche a lui nella casella di posta elettronica adoperata per ragioni di lavoro.

L’assenza di una legge della Florida contro le molestie informatiche che mettesse finalmente fine alla tortura cui era sottoposta ha costretto Madison a rinviare la denuncia alle Forze dell’Ordine. Quando dopo mesi Madison, ovviamente disperata, è entrata nella stazione di polizia locale di Melbourne raccontando il fatto, mostrando il materiale rinvenuto e condividendo tutto, l’agente le ha spiegato che non c’erano elementi di condotta criminale nella vicenda…

Madison ancora non sapeva che altre donne erano nelle grinfie dello stesso uomo su Internet, che tutte dovevano affrontare reazioni simili da parte delle autorità locali e che – senza l’aiuto della polizia – avrebbero dovuto perseguire la giustizia da sole.

Una sua indagine preliminare le ha consentito di scoprire che lei e altre tre vittime avevano un amico o follower in comune su Facebook: Christopher Buonocore.

La sorella di Madison, Christine, che aveva recentemente superato l’esame di abilitazione, da avvocato ha preparato un documento di 59 pagine che mappava l’intero caso con prove e informazioni rilevanti tra cui i riferimenti normativi cui fare appello in ciascuna delle giurisdizioni delle vittime. Ha inviato il documento a tutte le donne coinvolte, e ognuna si è presentata ai rispettivi uffici delle forze dell’ordine, lasciando il “pacchetto” agli investigatori e chiedendo l’avvio di un’indagine penale.

Lo sceriffo della contea di Manatee in Florida, la località in cui vive Christine, ha passato il caso agli investigatori federali. E nel luglio 2019, l’FBI ha preso il comando per conto di tutte e sei le donne sulla base delle prove del cyberstalking interstatale raccolte da Christine…

Il “prosecutor” del distretto centrale della Florida è intervenuto alla fine di dicembre 2020, ma non esistendo una legge federale che criminalizza la distribuzione non consensuale di immagini intime, ha invece accusato Buonocore di sei capi d’imputazione di cyberstalking, applicabili ad alcuni casi riguardanti la comunicazione interstatale, compiuto con l’intento di uccidere, ferire, intimidire, molestare o sorvegliare qualcuno. Il tizio si è dichiarato colpevole nel gennaio successivo…

In questi giorni il giudice distrettuale americano Thomas Barber ha condannato Buonocore a 15 anni di prigione federale, quasi quattro anni in più di quanto aveva richiesto il pubblico ministero.