Le opinioni

La formazione entri nella Costituzione

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di Cesare Damiano – Ex ministro del Lavoro, Presidente Associazione Lavoro & Welfare

Fissiamo un primo punto. In quest’epoca è ineludibile che la politica industriale sia accompagnata da una politica per la formazione che sia coerente. L’alto tasso tecnologico della manifattura contemporanea non ammette manchevolezze in merito. Lo stesso discorso vale anche per il settore dei servizi, oggi in forte crescita a partire dal turismo. Né serve, men che meno, una formazione astratta, a catalogo, lontana dalle applicazioni richieste dai diversi processi produttivi.

Partiamo, perciò da alcuni dati di realtà. L’Unione europea ha aggiornato le stime sul Pil per il 2023, prevedendo per l’Italia una crescita dell’1,2 per cento. Il che significa +0,2 rispetto alla Germania e +0,7 rispetto alla Francia. Anche se si dovrà valutare il peso che avrà, sui conti finali, la terribile catastrofe che ha colpito l’Emilia-Romagna e che si è anche abbattuta sul suo tessuto produttivo. Nelle stime della Ue la crescita del Pil italiano, quest’anno, supererà del 3,6% quella del 2019.

Come abbiamo già ricordato, in questo momento i servizi hanno un forte peso nella nostra crescita economica. Ma noi siamo una potenza manifatturiera e non dobbiamo perdere terreno in Europa. E l’Industria 4.0 è stata determinante, fin dal varo del primo Piano a essa dedicato, nel 2017, per la nostra competitività. Alla fine del 2023, gli investimenti nell’industria 4.0 da parte delle imprese italiane saranno del 14,6% superiori a quelli del 2019. Parliamo di 5,6 miliardi di euro in investimenti solo per quel che riguarda le macchine utensili per metalli. Più di quanto faccia la Germania che, solo dieci anni fa, investiva il doppio dell’Italia in questi acquisti.

Non c’è, perciò, dubbio su quanto sia rilevante la formazione relativa all’Industria 4.0. E quanto sia utile per le imprese l’incentivo fiscale per gli investimenti in quella formazione per i propri dipendenti.

Il credito d’imposta per la formazione digitale è, perciò, uno strumento strategico per il Paese grazie al vantaggio che procura alle sue imprese. Si tratta di processi che ridefiniscono la cultura e l’organizzazione delle aziende. E sono più che mai strategici per le piccole e medie imprese, alle quali serve tutto il sostegno possibile nell’affrontare inevitabili processi trasformativi che comportano opportunità decisive in termini di produttività e crescita.

Restano però dei problemi di carattere generale al di fuori della natura positiva della formazione 4.0. Perché, nonostante la riforma Fornero del 2012 abbia riconosciuto il “diritto individuale all’apprendimento permanente”, ponendo le basi per quella necessaria formazione lifelong e on the job che tanto sarebbe significativa per il lavoro in Italia, si può sostenere che il legislatore italiano stenti a cogliere questa sfida.

È evidente che le principali carenze di offerta formativa investono, in diversa misura, ancora i percorsi della formazione professionale e continua erogata dalle Regioni, dalle parti sociali e dal settore privato.

Un sistema di formazione che sia in linea con il nostro tempo è ancora distante dalle necessità reali del nostro sistema produttivo. Anche la formazione deve essere su misura, possibilmente on the job e per piccoli gruppi di apprendimento.

Un diritto universale e permanente per tutti i lavoratori di tutti i settori dell’economia che dovrebbe diventare, da diritto individuale o soggettivo (come previsto da alcuni contratti di lavoro), a diritto di cittadinanza da inserire nella nostra Costituzione. Un aggiornamento degli articoli 3, 33 e 34 della Carta.