Le opinioni

Le quattro mosse di Trump che ogni azienda dovrebbe studiare

Scritto il

di Davide Ippolito – Esperto di reputazione aziendale e direttore di Reputation Review

Se andassimo a misurare il valore reputazionale di Donald Trump con il Reputation Rating, lo score che ci apparirebbe sarebbe molto basso praticamente in tutte le dimensioni teorizzate. Possiamo dire che Trump non goda di buona reputazione, almeno nel senso classico del termine. Eppure è stato eletto presidente degli Stati Uniti d’America da una maggioranza democratica, e potrebbe essere (a meno di impedimenti giudiziari) il prossimo candidato per la corsa alla Casa Bianca, dopo aver perso di pochissimi voti nel 2020.

È interessante quindi analizzare i quattro elementi che, a mio avviso, hanno fatto la differenza.

1) Trump conosceva bene le necessità dei suoi interlocutori e anche il target a cui parlava. Ha prestato particolare attenzione all’uomo comune, con un approccio destinato a colpire i cittadini scarsamente serviti e scontenti del funzionamento della macchina del potere. Non ha mai deviato dalla “grande promessa” di marketing di «rendere l’America di nuovo grande».

2) Ha sfruttato al massimo le controversie. Senza conflitto non c’è storia: le controversie generano storie e le storie generano notizie. In politica come nel marketing. Quando Trump ha proposto di alzare un muro per separare gli Stati Uniti dal Messico, tutti lo hanno aggredito. Ci sono state polemiche senza fine. E la controversia genera pubblicità. Il muro è stato il simbolo della sua campagna. La sua avversaria Hillary Clinton era la donna della politica più conosciuta nel mondo, eppure non faceva riferimento a simboli ben definiti. Lo dicevano i suoi slogan: «Io sono con lei» o «Lottiamo per noi». La Clinton aveva grandi vantaggi e un budget di 57 milioni di dollari. Sapete quanti soldi ha speso Trump? Meno di un decimo di quella somma: 4,4 milioni di dollari. La sua campagna si è basata interamente su una gestione magistrale dei media focalizzata a far emergere la precisa identità del suo personal brand.

3) Trump ha sempre ribaltato gli eventi in positivo. Non ha combattuto contro qualcosa, ma per qualcosa. Quando Trump affermava di voler costruire un muro, non è stato il suo essere “contro” i messicani a vincere, ma l’essere “a favore” del muro. Per portare le persone a scegliere qualcosa, è meglio descrivere la scelta in positivo, e nello stesso tempo mostrare l’alternativa come un qualcosa “contro” ciò che viene proposto.

4) Ha evitato il più possibile di prendere posizioni precise, ben consapevole che quando lo fai finisci per dispiacere alla maggioranza degli elettori, che non saranno per nulla d’accordo con te su almeno uno degli argomenti a favore dei quali ti sei schierato.

Ora, mettendo da parte la politica e giudizi di merito su quanto sopra descritto: cosa possiamo imparare dal presidente Trump per arrivare a una gestione più efficace della nostra reputazione?

  • Possediamo una descrizione dettagliata del target a cui ci rivolgiamo per essere certi di parlare il suo linguaggio?
  • Quali dimensioni della reputazione contano di più per il nostro target e su quali di queste vogliamo concentrarci?
  • Quali sono i punti di contatto ottimali per coinvolgerlo in una controversia?

La trappola dalla quale bisogna scappare è quella del voler parlare a tutti. Parlare a tutti è come non parlare a nessuno e una tagliola mortale per la reputazione della propria Pmi.