Le opinioni

L’incidente di Casal Palocco: la tragica lezione e la prevenzione possibile

Scritto il

di Umberto Rapetto – Generale Gdf – già comandante Nucleo Speciale Frodi Telematiche

 

Morire per una sfida e far morire per una analoga scelleratezza hanno in comune il dolore per chi rimane, qualunque ne sia il livello di coinvolgimento che condiziona solo l’intensità della sofferenza.

La morte del piccolo Manuel ha colpito al cuore l’intera collettività, non consentendo a nessuno di voltarsi dall’altra parte. Il drammatico episodio è la spia d’allarme che resta accesa fissa, che segnala una situazione cronica, un fenomeno stagnante, un malessere endemico e non una semplice fortuita combinazione di un destino avverso.

Lo schianto del bolide utilizzato per una demenziale “challenge” sulla piattaforma multimediale YouTube deve liberare quell’ “adesso basta” che da troppo tempo la gente di buon senso vorrebbe urlare a chi avrebbe il dovere di fare qualcosa.

Ci si è affrettati a demonizzare Internet e i social network, come se – in presenza di un assassinio efferato – qualcuno se la prendesse con i coltelli affilati dimenticando che erano stati prodotti per affettare la carne o il pane.

Nessuno si è domandato cosa avrebbe potuto o dovuto fare per evitare lo sconfortante declino che sta affliggendo la nostra civiltà e di cui la Rete delle Reti centellina i fotogrammi più inquietanti.

Il megafono dei moderni strumenti di comunicazione stordisce anche i più distratti, annichiliti dalla devastante disgrazia e terrorizzati dalla constatazione dell’impoverimento etico e culturale delle nuove generazioni.

La famiglia, la scuola e le istituzioni dovrebbero recitare un sincero mea culpa e riconoscere di non aver mai, ripeto mai, preso sul serio la permeazione delle tecnologie nel vivere quotidiano. Barricati dietro la poco credibile giustificazione di “non essere nativi digitali”, gli adulti non hanno mai pensato che era ineludibile affrontare i cambiamenti che l’evoluzione hi-tech avrebbe determinato. L’acuto comico Francesco Paolantoni ha inutilmente stimolato gli interlocutori con il suo refrain “capisci Internet?”, rivelando profeticamente quella che sarebbe stata la manifesta impreparazione odierna.

Storditi da un travolgente fatto di cronaca, si è in balia di una sostanziale incapacità di dare una risposta ad un problema dai contorni indefiniti. Affiora la coscienza di non sapere nemmeno da che parte cominciare, pensando di rivedere i limiti di velocità o di adottare qualche altra balzana iniziativa.

Nessuno parla della necessità di “educare”, intervenendo anzitutto sugli educatori (così da demoltiplicare lo sforzo) e poi su giovani e giovanissimi. Non si tratta di insegnare l’informatica e la sua banale applicazione quotidiana, ma di indicarne l’uso più corretto. E, prima ancora di calarsi in esercitazioni pratiche, varrà la pena ridiffondere i più elementari valori della vita a partire dal rispetto, quello che viene calpestato pur di emergere o prevalere.

Si sono concentrati tutti sugli aspetti investigativi e sull’auspicata severità degli sviluppi processuali. La giustizia farà – si spera – il suo corso, ma vale la pena chieder conto anche a chi – prima dell’incidente di Casalpalocco – non ha fatto la sua parte per evitare un simile scempio.

La prevenzione non è impossibile. Youtube, Instagram, TikTok e tanti altri sistemi sono zeppi di contenuti diseducativi o in nitida violazione di leggi e regole. Possibile che li si scopra solo dopo che è accaduto qualcosa?

Il canale “The Borderline”, invece di essere “sigillato” a ridosso della morte di quel bimbo, ha continuato a funzionare, ha incrementato il numero dei propri iscritti, ha fatto sparire video che potevano esser utili per tracciare il vero identikit dei protagonisti di questa tragedia… Vale ancora la pena di infervorarsi?