Le opinioni

Poteri ipnotici e illusionismo dei consulenti improvvisati

Scritto il

di Umberto Rapetto
(Generale GDF– già comandante Nucleo Speciale Frodi Telematiche)

La colonna sonora potrebbe essere la prima riga di “Bella Ciao!”, quell’incredibile “Una mattina mi son svegliato…” cui può far tranquillamente seguito un doveroso “e ho trovato chi spennar”. Per restare in tema, “Ora e sempre Resistenza” come è scritto su un monumento di fronte a casa mia ad Acqui Terme.

Inventarsi un mestiere è e deve rimanere un’arte. Ne sono profondamente convinto e ho praticato quella disciplina con serietà e impegno, soprattutto lungi dal voler buggerare qualcuno. L’ho fatto nel 1987 quando ho deciso di occuparmi a tempo pieno di criminalità informatica in tempi in cui – pochi i computer e Internet zero – mancava ancora l’opportunità per delinquere su quel versante.

Quella decisione apparentemente azzardata è stata la mia fortuna, ma è costata un’infinità di sacrifici perché esplorare una giungla di quel tipo non è stato per nulla facile. Non si tratta solo di infilarsi in un universo imperscrutabile, ma di sapersi orientare ad ogni mutamento di scenario e di avere coscienza che un solo giorno di distrazione (senza aggiornamenti e confronti) poteva far perdere il passo.

E così da trentacinque anni continuo a “studiare”, al punto di averci quasi preso gusto e a riconoscere la necessità di non tenere per me quel che imparo, capisco e intuisco facendo tesoro anche di una concreta esperienza sul campo.

Come me ci sono tanti altri che – molti di loro più bravi di me – si impegnano su questo fronte con grande professionalità. Purtroppo, però, il “mercato” di settore si è da tempo “imbastardito” con il pullulare di sedicenti esperti la cui incompetenza fa più danni della grandine.

Quando ci si è accorti che cybersecurity e privacy potevano costituire “vigneti” in cui vendemmiare, torme di soggetti armati di immarcescibile faccia tosta ma privi di reale qualificazione si sono scatenati in una cruenta carneficina che ha lasciato a terra migliaia di imprese colpevoli di essersi fatte infinocchiare.

Chi è in difficoltà, chi vive un’emergenza tanto impalpabile quanto drammatica, chi non sa più cosa fare vedendo il proprio sistema informatico paralizzato, finisce con l’affidarsi a chi si candida a dare supporto e magari dichiara di avere a disposizione l’indispensabile panacea…

Si assiste così ad un impietoso sciacallaggio che porta a sommare ai danni del disastro tecnologico l’importo della parcella e le spese collaterali per prodotti e servizi suggeriti dal salvifico interlocutore.

Come può un piccolo imprenditore scegliere la persona cui rivolgersi e, poi, capire se davvero è all’altezza dei compiti che gli vuole affidare e delle responsabilità che ne conseguono? Per evitare di morsicarsi i gomiti dalla disperazione di aver “toppato”, vale la pena adottare alcune piccole precauzioni che sono alla portata anche di chi manca – ovviamente – della dovuta capacità di committenza.

La prima cosa da fare è una rapida ricognizione online. Si infilano il nome e cognome dello specialista o l’intestazione dell’azienda di consulenza in un qualunque motore di ricerca, abbinando l’identificativo ad altri termini come “pubblicazioni”, “incarico”, “bio” e così a seguire. Può essere d’ausilio un portale come Linkedin, il social in cui i professionisti espongono il proprio curriculum e man mano esibiscono attività e risultati: utile, ma da prendere con beneficio di inventario perché tutto poggia su dichiarazioni dell’interessato e anche le competenze riconosciute da terzi possono valere meno del previsto (i ciarlatani intrecciano sovente scambi di “credibilità” con soggetti loro omologhi).

Il titolo di studio è importante, ma quel che conta è il cursus honorum ovvero le tappe che vanno dalla gavetta ad oggi. Una telefonata a quelli che sono stati offerti come portfolio di clientela non guasta: è il miglior modo per conoscere davvero come l’individuo o la società hanno lavorato.

Qualcuno pensa di risolvere ricorrendo ai “grandi” della consulenza, ai nomi storici, ai cosiddetti “big”. Poi in azienda si ritrova uno junior consultant di qualche blasonata formazione: un neolaureato, certamente volenteroso, che veste impeccabile come un venditore di una immobiliare, che adopera termini strani che ritiene d’effetto, che simula sicurezza di sé stesso e non sa che gioca con quella degli altri.

Si badi alla sostanza, la stessa con cui ci si è spesi finora nella propria attività di impresa.