Le opinioni

Profezie tecnologiche per il nuovo anno

Scritto il

di Umberto Rapetto (Generale Gdf – già comandante Nucleo Speciale Frodi Telematiche)

Le tecnologie cominciano a manifestare i sintomi dell’esaurimento della loro missione nativa: al semplificare la vita della gente, alleggerire il peso dei lavori più faticosi, ripetitivi o meno piacevoli, velocizzare le attività, si sta affiancando il rendere inutile la presenza delle persone. Nell’industria, nella logistica e persino nel commercio (dove sono sbarcati i negozi con avatar delle commesse) c’è sempre meno bisogno di esseri umani.

I licenziamenti delle “Big Tech” – si pensi ad Amazon, Facebook e Twitter – sono la dimostrazione evidente che il mondo è cambiato e continuerà incontrastato la sua corsa verso la dimensione “humanless”, idiota neologismo che lascia comunque intendere che si può stare senza donne e uomini. L’inseguimento del sogno della produttività estrema (altro che Stakanov) e del correlato massimo profitto ha progressivamente convinto che si possa rinunciare alle persone. La robotica ha definitivamente fatto capire che la manodopera è un concetto medievale della produzione, l’intelligenza artificiale dal canto suo sta insinuando l’inutilità della creatività umana, che può essere soppiantata da quella di un computer “ammaestrato”.

Non succederà certo nel 2023, ma il “nuovo anno” – come lo chiamava Lucio Dalla – costituirà un ulteriore passo avanti non verso un auspicabile “viver meglio” ma nella inarrestabile direzione del “mettersi da parte”. Il processo di esclusione è inizialmente indolore o quanto meno viene ritenuto tollerabile fino a quando a pagarne il prezzo sono gli altri, magari solo una piccola minoranza di loro. Man mano che si va avanti, la platea degli emarginati si amplia fino a mangiarsi – come nel gioco della Dama – anche l’ultima pedina.

Inebetiti da questa o quella “app”, abbiamo perso il gusto del rapportarci con gli altri anche per il solo chiedere un’informazione. Intermediati da dispositivi portatili e addirittura indossabili (o “wearable”, come li chiamano quelli che parlano l’inglese grazie al traduttore automatico di Google, quello che sta pensionando anche la conoscenza delle lingue…), stiamo perdendo la nostra autonomia.

Continueremo a fornire informazioni ai “datofagi”, le incredibili macchine che mangiano ogni notizia o elemento conoscitivo che ci riguarda, fino alla loro imminente sazietà. La profilazione esasperata sta volgendo a conclusione e, morta e decomposta la privacy, assisteremo alla gestione telecomandata della nostra vita secondo gusti, opinioni e interessi preconfezionati da chi ha elaborato il nostro comportamento nel tempo.

Sbaglia chi reputa le precedenti righe un virtuosismo filosofico. È solo il trailer di quel che sta silenziosamente prendendo forma e sopravvento.

Nel frattempo gli “incidenti informatici” subiranno un incremento significativo, rimarcando la nostra dipendenza dal regolare funzionamento di sistemi sempre più assediati da hacker e dipendenti infedeli. Saranno i pirati digitali a marcare di loro “festività” il calendario e a dominare il palcoscenico della odierna belligeranza, offrendo i loro servigi per questo o quel Governo irresponsabile.

Le “criptovalute” (Bitcoin ne è solo un esempio) proseguiranno nel tracollo che sta castigando chi si è ubriacato di aspettative speculative, ponendo fine al miraggio del guadagno facile e istantaneo.

Il commercio elettronico – dopo la fortunata (almeno per lui) stagione pandemica – farà tesoro della fidelizzazione della clientela e contribuirà all’affissione di nuovi cartelli “Cedesi attività” su ingressi e saracinesche dei locali che si affacciano sulle strade stracolme di monopattini elettrici abbandonati per la gioia dei passanti (che, non più distratti dalle vetrine ormai vuote o impacchettate, possono finalmente stare attenti a dove mettono i piedi).

Questi i cardini. Non vorrei rovinare il gusto della sorpresa di quel che ci aspetta…