Le opinioni

Quando “staccare la spina” causa guai come un attacco hacker

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di Umberto Rapetto (Generale Gdf – già comandante Nucleo Speciale Frodi Telematiche)

Mercoledì 6 aprile alle ore 17 nei sistemi informatici di Poste Italiane qualcosa comincia a non funzionare. Il mattino successivo molti uffici sono bloccati e chi entra vede che il “totem”, che distribuisce i biglietti per mettere in coda la clientela, è spento. Nella sala, normalmente affollata in maniera composta, si sente la voce di una delle impiegate che, con tono deciso e al contempo rassegnato, ripete “non c’è linea”. L’utenza, costituita da vivaci teenagers degli anni Sessanta, rimane attonita. I tanto arzilli quanto arrancanti ex-ragazzini si guardano tra loro e qualcuno pensa (o spera) di aver capito male per un guasto dell’apparecchio acustico.

Qualche diversamente giovane viene invitato a rivolgersi ad altri uffici postali in zona perché non si sa quando il servizio possa riprendere vita. Il fatto che gli “sportelli alternativi” si trovino ad un chilometro o due di distanza non deve spaventare i vecchini già faticosamente approdati a quella sede. È una opportunità di fitness rivitalizzante. Qualcuno alza lo sguardo ai display su cui campeggia il volto sorridente di Mara Venier e si chiede se la camminata suggerita possa costituire la prima fase contrattuale del passaggio a Poste Energia e preveda altre prove di forza e vigore…

Sui monitor è visualizzata la scritta “Inizializzazione in corso 10.55.209.x” dove – in questo articolo – quella “x” indica l’ultimo numero che varia da botteghino a botteghino del lungo bancone, testimoniando che nessuno dei computer riesce a connettersi al sistema.

Gli “oldies but goldies” (vecchi ma dorati) maggiormente propensi ad occuparsi di questioni tecnologiche si affrettano ad immaginarsi spettatori di un assalto hacker in diretta, una fortuna che – come la stella cometa che porta alla notte dell’Epifania – tocca in sorte solo a pochi eletti (non si fraintenda, non parliamo di seggi assegnati e baciati dalla Dea bendata…). Abituato a disastri informatici, qualunque ne sia la radice, ho sfogato la bile accumulata nell’inutile attesa sintetizzando il Calvario (il periodo pasquale porta a facili paragoni, specie in presenza di tanti “povero Cristo”) e ponendo su Internet il sibillino quesito “Attacco hacker?”.

Nel pomeriggio, una telefonata garbatamente mi rimprovera di aver fatto aleggiare lo spettro di un arrembaggio di terribili pirati informatici di cui non si sarebbe vista nemmeno lontanamente l’ombra.

Non faccio in tempo a prendere atto – con estremo piacere – che fosse “no” la risposta al mio interrogativo: il rimbrotto, infatti, non era concluso. La persona dell’Ufficio Stampa di Poste Italiane, dopo avermi detto che in realtà non fosse successo nulla o quasi nonostante sul web si parlasse di un certo numero di uffici in giro per l’Italia, mi ha costretto a guardare le foto sul mio smartphone per darmi pace e convincermi di non aver avuto allucinazioni.

L’episodio era da ricondurre ad un minuscolo problema di alimentazione elettrica. «Ah, quindi è bastata l’interruzione della corrente?» ho timidamente domandato a chi stava dall’altro capo del telefono. La planare conferma ha sbriciolato la gioia di sapere che non c’era lo zampino di qualche criminale digitale.

Ho dunque appreso – senza particolare entusiasmo – che certi grandi sistemi informatici a elevata criticità (come quello di una holding che si occupa di logistica, gestisce il risparmio, fornisce servizi assicurativi e così a seguire) non hanno alcun bisogno di incrociare i guantoni con il “Mike Tyson del bit” per finire miseramente al tappeto.

Il pensiero di un addetto alle pulizie che fischiettando inciampa nel cavo di alimentazione di un server, interrompendo le attività di tutte le stazioni di lavoro che avevano bisogno di collegarsi proprio a quella “macchina”, evoca le esilaranti scene di Hollywood Party in cui Peter Sellers si rende protagonista di incidenti grotteschi e impensabili. Qualche altro cinefilo ricorda la suora che – ne L’aereo più pazzo del mondo – con la sua chitarra stacca la flebo alla ragazza trasportata a bordo con tanto di barella… La vicenda invita a riflettere parecchi soggetti perché gli errori sono almeno di duplice natura.

Sul fronte tecnologico è ovvio che qualcosa è andato storto (proprio come appariva sul display quando cercavo di prendere appuntamento tramite la apposita “app”), come facilmente rilevabile (per entità e durata) dai “log” che registrano le attività svolte dai diversi operatori abilitati ad utilizzare i computer per i servizi al pubblico. Parliamo di un “termometro” che evidenzia (a prova di qualsivoglia smentita) il malessere che avrebbe “fiaccato” almeno una parte degli uffici sul territorio già dal pomeriggio di mercoledì. E il fatto che si sia manifestato più o meno – Federico Garcia Lorca docet – “a las cinco de la tarde” non può ammettere la maldestra affermazione «e comunque alle 19 gli sportelli chiudevano…», con cui si tentava di ridimensionare l’accaduto.

Sul versante della comunicazione limitiamoci a riconoscere la necessità di non nascondere la polvere sotto il tappeto e di avere un approccio differente con chi scrive dopo esser stato sul “luogo del delitto”.

A questo punto gli hacker passano inesorabilmente in secondo piano. Tocca mutuare Joel ed Ethan Cohen, nonché ovviamente Cormac McCarthy che ha scritto il romanzo che li ha ispirati. Non è un Paese per vecchi. Soprattutto per quelli che vanno all’ufficio postale.