Le opinioni

Salario minimo, la legge da sola non basta

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di Cesare Damiano (Ex ministro del Lavoro – Presidente Associazione Lavoro & Welfare)

Nel suo intervento al recente Congresso della Cgil Giorgia Meloni ha espresso la contrarietà, propria e del suo Governo, all’adozione del salario minimo di legge, perché potrebbe trasformarsi in una “tutela sostitutiva” dei contratti nazionali di lavoro che, invece, andrebbero rafforzati.

Partiamo da qui per riprendere il dibattito su questo argomento. Nel 2022 è stata approvata e pubblicata la Direttiva 2041 dell’Unione Europea. Come afferma l’articolo 1, essa ha l’obiettivo di «migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle diseguaglianze retributive». Il disegno che sta alla sua base, è bene chiarirlo, è che i Paesi dell’Unione europea garantiscano ai lavoratori una copertura della contrattazione collettiva non inferiore all’80%. Parliamo di un limite finora rispettato da Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Spagna e Svezia. Gli Stati nei quali, oggi, la copertura della contrattazione collettiva è al di sotto della predetta soglia dovranno presentare alla Commissione Europea, previa consultazione con le parti sociali, un piano d’azione per la promozione della contrattazione collettiva.

Quindi, l’obiettivo della Direttiva non è quello di imporre uno standard unico europeo di salario minimo: in Bulgaria è di 2,07 euro orari e in Lussemburgo di 13,05 (fonte Eurostat). Né quello della ricerca di un’armonizzazione dei sistemi nazionali di calcolo dei salari legali, dove questi esistono.

Gli intenti effettivi sono quelli di migliorare il livello salariale dei lavoratori dell’Unione europea, tutelare i datori di lavoro dalla concorrenza sleale basata su bassi salari e aumentare la produttività investendo sul capitale umano. Tali obiettivi possono essere perseguiti sia attraverso la contrattazione collettiva, sia tramite il salario minimo legale, lasciando liberi gli Stati nazionali di assumere la direzione che ritengono più aderente al loro contesto giuridico e sociale, con la premessa che la contrattazione collettiva è lo strumento più efficace per l’affermazione di retribuzioni dignitose.

È bene ricordare, a questo punto, che retribuzione e contrattazione, in Italia, sono inserite in un quadro costituzionale. In merito alla prima, l’articolo 36 della Carta stabilisce che «il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»; per la seconda, la Costituzione stabilisce all’articolo 39 che «i sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce». Vi è, perciò, nel nostro Paese un quadro coerente con la Direttiva europea.

Noi riteniamo, come la maggior parte degli osservatori, che adottare il salario minimo sarebbe una scelta corretta e necessaria. La nostra proposta è quella di assumere per legge le tabelle salariali dei minimi contrattuali, paga base più contingenza, definiti dai singoli contratti di categoria.

Il processo dovrebbe consistere nell’individuazione dei migliori contratti esistenti all’interno di ciascun settore produttivo, a partire da quelli stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi, definendo in questo modo un salario minimo per i lavoratori tessili, metalmeccanici, chimici, e così via: settore per settore, tenendo correttamente conto della varietà delle situazioni contrattuali e delle dinamiche produttive. Per completare il quadro, riteniamo che vada nella giusta direzione la richiesta di parte sindacale di legare la legislazione sul salario minimo al riconoscimento del valore erga omnes dei contratti nazionali e a una legge sulla rappresentanza che permetta di salvaguardare una contrattazione collettiva di qualità insidiata dai contratti “pirata”. Infine, il salario minimo per legge andrebbe adottato per quei lavoratori, circa il 20% del totale (fonte Inapp), che non sono tutelati dalla contrattazione collettiva.

Per centrare l’obiettivo suggeriamo al Governo di istituire un apposito tavolo con le parti sociali, anche con lo scopo di monitorare e aggiornare quei contratti che hanno retribuzioni poco dignitose: per intenderci, quando ci troviamo intorno ai 5 euro lordi orari e con normative di scarsa qualità. Parliamo del settore dei servizi (ultimamente è emerso il caso dei lavoratori delle case di riposo), delle guardie giurate, degli operai agricoli, dei florovivaisti e di colf e badanti. Il tema del salario non può essere appannaggio della sola azione legislativa: se si vuole valorizzare il ruolo della contrattazione i sindacati che rappresentano il lavoro e l’impresa debbono essere pienamente coinvolti nella ricerca delle soluzioni più idonee.