Economia della Conoscenza

Città del futuro a misura di pianta

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di Beppe Ceccato

Siamo sicuri che il modello di città che conosciamo sia quello più giusto per noi? Una domanda semplice che trova una risposta elaborata e completa in un libro pubblicato il 14 novembre scorso scritto e da Stefano Mancuso dal titolo “Fitopolis, la città vivente” (Editori Laterza, 176 pagg, 18 euro).

Mancuso  dirige il Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale (LINV) dell’Università degli studi di Firenze, nella quale è anche professore ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree. Sul suo lungo curriculum da segnalare anche la direzione scientifica della Fondazione per il Futuro delle Città, membro fondatore dell’International Society for Plant Signaling & Behavior e accademico emerito dell’Accademia dei Georgofili.

Il tema delle città studiato da un neurobiologo vegetale è un punto di vista “altro” e importante per approcciare un tema caldo, che sarà sempre più complesso e di difficile soluzione con il cambiamento climatico, l’inquinamento e la concentrazione umana forzata in alcune zone del pianeta. Lo spiega bene l’autore nel prologo: «Nel volgere di pochi decenni, l’umanità è andata incontro a una rivoluzione nelle sue abitudini ancestrali. Senza che davvero ce ne accorgessimo, ma passo dopo passo, direi chilometro dopo chilometro, la nostra specie, che fino a poco tempo fa viveva immersa nella natura abitando ogni angolo della Terra, ha ridotto il suo raggio d’azione fino a concentrare la maggior parte dei suoi rappresentanti all’interno dei soli centri urbani», una rivoluzione che lo scrittore paragona alla transizione da cacciatori-raccoglitori ad agricoltori accaduta 12mila anni fa.

L’uomo è un animale strano, questo lo sappiamo, l’unico tra gli esseri viventi che ha piegato a suo uso e consumo la Natura. Tutto è stato concepito attorno al concetto di Uomo Vitruviano espresso da Leonardo da Vinci, ma, se guardiamo alla proporzione tra l’homo sapiens e il resto degli abitanti della Terra, siamo simili a un minuscolo granello di sabbia: in natura il rapporto è 86,7 per cento di piante contro contro un misero 0,3 per cento di animali, uomini inclusi, ricorda saggiamente il professore. Questo rapporto, secondo Mancuso dovrebbe essere mantenuto anche nelle città: «Trasformare i centri urbani in fitopolis, città viventi dove le piante sono un modello di vita a cui tendere».

Per noi umani, alberi, fiori, radici sono esempio di resilienza, di immutabilità. Niente di più sbagliato, le piante sono organismi viventi che “pensano”, si esprimono, si spostano (a modo loro, ovviamente!) creando complessi modelli di vita “in comune”. Studiarli e applicarli dovrebbe essere per l’autore una necessità e una soluzione all’incaprettamento che l’essere umano si infligge. Spiega Mancuso: «L’idea che tutto quello che abbiamo prodotto abbia avuto e abbia come unico modello, il modello umano, animale è in sé sbagliato. Tutto è stato prodotto e costruito a nostra imitazione. Io sostengo che ci siano degli altri esseri che compongono la stragrande maggioranza della vita, che bisognerebbe seguire».

Negli otto capitoli in cui è diviso il lavoro, l’autore svela passo dopo passo come la necessità di iniziare a pensare a una città vegetale sia un imperativo per il proseguimento della specie umana e del Pianeta che lo ospita. Quindi, meno asfalto e più alberi? Non solo, è il cambio di prospettiva quello di cui le città hanno bisogno (lo rappresenta bene l’illustrazione della cover del libro di Beppe Giacobbe: un grande albero dove tra le sue fronde nascono, come frutti di quella pianta, le case, le chiese e i palazzi).

Un’architettura diversa, che architetti come Le Corbusier e Oscar Niemeyer avevano intuito nella progettazione e realizzazione delle loro nuove città, ma che quel benedetto uomo al centro dell’universo aveva portato anche loro a concepire la città come un corpo umano, nella testa i palazzi del potere, nelle braccia i centri di servizio e gli edifici necessari alla cultura e alla salute e come gambe le grandi arterie di scorrimento in un’epoca dove le auto iniziavano a essere le protagoniste di un futuro brillante… Tutto pensato, dall’altezza dei soffitti a quella delle porte fino alla larghezza dei corridoi, per l’uomo, come plasticamente aveva tradotto Le Corbusier nel suo Modulor, una scala di proporzioni architetoniche basata sulle misure umane.

I bisogni indotti, il paradosso della scelta citato da Mancuso (ricordato questa settimana anche dal nostro Antonio Dini nel suo Pensiero Laterale a pag. 62), ci ha distratti, mentre nelle città gli animali per causa nostra subiscono una forte pressione evolutiva per poter vivere e le piante, come annota Mancuso, «stanno andando incontro a cambiamenti talmente drastici e veloci che, in ogni specie finora esaminata, le modifiche adattive o evolutive sono così importanti che anche indicarne le sole caratteristiche principali richiederebbe tempo». I rimedi? L’autore li ha ben chiari. Bisognerebbe cambiare radicalmente la nostra vita di cittadini. Siamo disposti a a rinunciare al nostro mondo antropocentrico per assomigliare a un ulivo millenario?

In libreria a dicembre

Allarme allarme! I priori fanno carne! Alessandro Barbero, Laterza, 18€. Rivolte popolari e movimenti insurrezionali nel Medioevo narrati dallo storico non sono poi così lontani da quanto sta succedendo oggi nel mondo. La conclusione? Le rivoluzioni non nascono mai a caso…

La fine della morte. Vita eterna nell’era dell’intelligenza artificiale Moritz Riesewieck e Hans Block, Tlon, 20€. Un saggio su come l’Intelligenza Artificiale sta influenzando radicalmente anche la percezione della morte. Tra implicazioni etiche e nuove tecnologie.

Licenziate i padroni. Come i capi hanno rovinato il lavoro Marco Bentivogli, Rizzoli, 17€. “Lavoro, cambia tutto” è un falso mantra. Lo scrive Bentivogli, esperto politiche di innovazione industriale e del lavoro in un libro che è un grido di rabbia: contro i “padroni” mediocri, e per un Paese con molti capitali e pochi capitalisti.