Economia della Conoscenza

Comunicazione in cerca di etica

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di Beppe Ceccato

Tutti comunichiamo, anche inconsapevolmente. E in “tempi social”, dove miliardi di persone cercano il classico, warholiano quarto d’ora di fama, il comunicare è diventato quasi un’ossessione. Il significato etimologico di comunicare va dal mettere in comune latino al religioso porsi in comunione con il divino, al comunicare un’emozione o, ancora, per istituzioni, media e aziende, veicolare una decisione, dare una notizia, raccontare un prodotto. Tracciare l’identikit del comunicatore oggi è l’obiettivo di un libro interessante e ricco di sfaccettature, Comunicatore a chi? (Guida editori, 140 pagg.15 euro) scritto da Silvia Grassi, giornalista, direttore dell’Ufficio Stampa del CSM e già consulente per la comunicazione del Consiglio di Stato e dei Tar, e da Roberto Iadicicco, giornalista, medico chirurgo, Head of Health Communication & Promotion di Eni e Head of External Communication di Eni Foundation. Abbiamo incontrato Silvia Grassi.

Nella prefazione del libro Giovanni Grasso, Consigliere per la Stampa e la Comunicazione del Presidente della Repubblica, definisce il vostro lavoro un tentativo ben riuscito di mettere a fuoco una materia instabile e in continua trasformazione quale è la comunicazione di massa. Perché il punto di domanda nel titolo?

Perché non abbiamo la verità in tasca. Abbiamo voluto trattare il tema raccogliendo le testimonianze di 15 protagonisti della comunicazione e dell’informazione. Ne avrei voluti intervistare molti di più, alla continua ricerca di risposte: ho già in mente il sequel! È stato il collega Iadicicco che mi ha dovuto stoppare con le interviste, altrimenti il saggio non sarebbe mai uscito!

Personaggi di alto profilo, Agnes, Baglioni, Bartoli, Chiambretti, di Matteo, Patroni Griffi, Purgatori…

Tutti comunicano – e bene – ma non svolgono “ufficialmente” la professione di comunicatore. In realtà, non esiste un profilo professionale; ci sono corsi universitari, master, scuole ma non c’è un albo professionale che detti la deontologia, come per i giornalisti. Io sono giornalista professionista e lavoro come comunicatrice; fin da subito ho chiesto che mi venisse applicata la legge 150/2000 (che disciplina la comunicazione pubblica, ndr). Sono convinta che chi comunica nelle istituzioni debba essere un giornalista, con la sua responsabilità, professionalità ed etica.

La differenza tra comunicatori e giornalisti dovrebbe essere chiara, in realtà non lo è affatto!

Esatto: si fa molta confusione. Il giornalista racconta fatti di interesse pubblico, fa informazione. Il comunicatore vuole convincere, ottenere il consenso; è alla ricerca di un feedback che presume interazione. L’informazione è un processo unidirezionale; la comunicazione, invece, relazionale. Entrambe richiedono studio e professionalità; ma mentre i giornalisti hanno doveri specifici e se li violano rispondono al proprio Ordine, questo, al momento, non vale per i comunicatori. La riaffermazione dell’importanza del profilo giornalistico nell’ambito della comunicazione è affrontata con lucidità, nel libro, da Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine dei Giornalisti, e da Andrea Purgatori.

Spesso i ruoli tra giornalisti e comunicatori non sono ben definiti.

Noi giornalisti dovremmo avere uno scatto d’orgoglio e puntare a essere quel “giornalista-giornalista” raccontato nel film di Risi, Fortapàsc, sulla storia del cronista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra!

Lintelligenza artificiale è potenzialmente un problema?

Sì, se non viene regolata a livello sovranazionale, limitando al massimo la sostituzione della tecnologia all’uomo. È un tema che ha molto a che fare con l’autorevolezza e il ruolo dei giornalisti. Chat Gpt può essere utile ma solo il giornalista può fare il Fact Checking, coltivando il dubbio e verificando le fonti.

Cosa hai tratto dalle interviste?

C’è un filo conduttore che lega tutti i protagonisti: professionalità, responsabilità ed etica. Da Baglioni a Canova, da Simona Agnes ad Alessandro Paolucci in arte @Dio, famoso influencer su Twitter. Anche lui ha una sua etica, non mentire mai ai follower perché non sono per nulla stupidi: “@Dio non sono io: @Dio è il pubblico, che può darti i super poteri o scaraventarti all’inferno”.