Economia della Conoscenza

La ricetta per salvare l’Italia: scuole, migranti e prospettiva

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Domani è oggi, Costruire il futuro con le lenti della demografia di Francesco Billari è un libro che andrebbe letto da tutti. L’autore, che è il rettore della Bocconi e professore ordinario di demografia presso il dipartimento di scienze sociali e politiche dell’ateneo milanese, espone con chiarezza e lucidità quale futuro ci aspetta. Un futuro che è nelle nostre mani: portare il Paese verso una stabilità economica, politica e sociale oppure indirizzarlo, senza correttivi, verso una decadenza inesorabile. Sono due strade opposte, tertium non datur, diceva la logica aristotelica.

Professore, c’è la presa di coscienza e la volontà di cambiare marcia?

Non sempre basta la volontà. Quello che ancora non siamo riusciti a stabilire in Italia è un approccio basato sui dati e sull’ispirarsi a soluzioni proposte dai ricercatori o importate da altri Paesi. Non abbiamo mai affrontato l’argomento demografico con la dovuta calma, con metodo scientifico, riducendo i temi a confronto politico dell’oggi, invece di cercare un accordo su come deve essere costruita una società nel lungo periodo.

Bisognerebbe ascoltare di più la scienza demografica!

Questa ci dice che, banalmente, nei prossimi 10/20 anni anche eventuali incrementi della natalità non andranno a contribuire all’aumento della popolazione che può lavorare, generare contributi pensionistici e contributi per il sistema sanitario. Uno dei vantaggi della situazione in cui siamo oggi, mi sembra, è che esista un generale consenso sul fatto che la demografia italiana sia in assenza di interventi. Se accettiamo questo assioma dobbiamo guardare alla ricerca, come hanno fatto i tedeschi, e dirci: abbiamo due temi, uno di periodo immediato e uno di prospettiva (i potenziali contribuenti non li possiamo creare aumentando le nascite oggi perché diventeranno tali tra 20, 30 anni). Quindi dobbiamo pensare alla leva dell’immigrazione, a valorizzare quelli che non sono sul mercato del lavoro (i NEET) e incoraggiare di più donne uomini a lavorare. Se decidiamo che sia importante dobbiamo pensare a come farlo bene, evitando errori commessi altrove.

 

Un esempio?

La Germania a un certo punto ha deciso che passava da un modello in cui si prendevano solo i lavoratori, il Gestarbeiter (lavoratore ospite), a un altro dove intere famiglie erano necessarie per investire su di loro e creare i tedeschi del futuro. Se ci ponessimo la questione della demografia oggi dovremmo pensare a questo, poi anche a un periodo più lungo dove le nascite non sono solo prossimi contribuenti ma il futuro del nostro Paese e l’esito dei desideri delle nostre famiglie. Pragmaticamente la Merkel ha colto l’opportunità dei rifugiati siriani, programmando un sistema di integrazione che ha permesso di arrivare alla situazione odierna che, almeno in apparenza, è meno problematica rispetto ad altri Paesi storici di migrazione come la Francia.

Scarsa natalità, sistema scolastico inadeguato, fuga di cervelli: c’è una soluzione?

Due esempi di visione di lungo periodo fondamentali sono proprio la scuola e la natalità. La prima va cambiata perché è stata costruita per un mondo che non c’è più. Prima non c’erano bambini di origine straniera, non c’era la demografia che c’è oggi e ci potevamo permettere anche di essere selettivi (a dire il vero don Milani non era d’accordo già allora) e non c’era nemmeno una competizione in cui erano necessari livelli di istruzione molto elevati. Oggi ci troviamo con la quota più bassa di giovani laureati nella Ue in un momento in cui di giovani ne abbiamo pochi. Una riforma della scuola che conduca più ragazze e ragazzi possibili alla soglia dell’università e poi più laureati, è essenziale ma avrà un effetto di lungo periodo come la natalità.

Serve un’immigrazione qualificata?

Proprio perché esiste la competizione internazionale, non è così semplice pensare di permetterci ingegneri indiani o medici siriani: tutto il mondo li sta cercando e noi non siamo un Paese particolarmente attraente per una forza lavoro qualificata. La nostra struttura economica e sociale non è così seduttiva nemmeno per i nuovi laureati: non abbiamo una struttura di imprese che premiano le lauree, un sistema manifatturiero avanzato tale da impiegare molti laureati, come accade in Germania o in Corea.

Serve dunque una università più competitiva!

Il campus è fondamentale in tutto il mondo, soprattutto per le università più di aspirazione, considerate più competitive a livello internazionale. L’università è un luogo di interazione che necessita di prossimità territoriale. L’Italia anche per questione di bisogno o di bilancio non si è mai preoccupata di costruire alloggi per gli studenti. La Bocconi è orgogliosa di avere duemila posti letto su 15mila studenti, speriamo di aumentarli, ma siamo stati un’eccezione per molto tempo. Gli studenti stessi e i miei colleghi rettori sanno che è una situazione non più sostenibile.

Abbiamo pur sempre 5 milioni di immigrati residenti su cui puntare!

Dobbiamo far crescere ragazzi e ragazze che non si sentano discriminati, trattati come persone che hanno meno diritti nonostante siano nati e cresciuti in Italia. Sarei molto preoccupato di un Paese che non si ponesse il problema di cosa fare con quasi un 15 per cento di nati che hanno entrambi genitori stranieri. Al di là del fatto che la cittadinanza venga data direttamente alla nascita come succede negli Stati Uniti, ci dobbiamo porre il problema di una transizione molto veloce, altrimenti cresciamo ragazze e ragazzi che – a ragione – non saranno felici di essere trattati come dei diversi. Non hanno scelto loro dove nascere.

Dunque iniziare a gestire con criterio chi, straniero, vive nel nostro Paese?

Non c’è solo il tema di attrarre nuovi migranti o cosa fare con gli sbarchi, ma anche di pensare a quello che succede già adesso in Italia, nelle nostre periferie, scuole, nel mercato del lavoro. Se ci poniamo la questione demografica dobbiamo pensare a cosa fare dei migranti, penso ai profughi, se il primo istinto è di cercare di disfarsene o se vogliamo pensare a progetti di integrazione come è stato fatto in altri Paesi. Sarebbe un segno di maturità. La Merkel non era certo una pericolosa comunista e l’ultima legge sull’immigrazione che è stata approvata in Italia si chiama ancora Bossi-Fini. Quindi, è possibile trovare una via che pensi a una organizzazione realistica dei flussi e a un progetto di integrazione e accoglienza. Non dovrebbe diventare sempre uno scontro politico per catturare i voti per le elezioni dell’immediato domani.