Economia della Conoscenza

Quella cover che divenne icona

Scritto il

di Beppe Ceccato

David Bowie nel 1973 in un concerto dell’Aladdin Sane Tour: il disco.
David Bowie nel 1973 in un concerto dell’Aladdin Sane Tour: il disco.

In aprile ricorrono i 50 anni dall’uscita di Aladdin Sane, il sesto album in studio di David Bowie, rilasciato da RCA Records. Un disco dirimente, soprattutto per quella cover che ha reso il futuro The Thin White Duke e il passato Ziggy Stardust, immortale. Il lampo che divide in due il viso dell’artista (la foto è di Brian Duffy) e quella goccia nell’incavo della scapola disegnata con l’aerografo da Philip Castle (l’artista che, nel 1971, aveva creato il poster di Arancia Meccanica e, nel 1987, quello di Full Metal Jacket per Stanley Kubrick) faranno diventare Bowie un’icona in tempi in cui la questione gender era “tanta pratica e pochi slogan” e i censori censuravano con puritano credo. Messaggio per i provocatori e i moralizzatori di questi anni, macchiette eteree nel nulla.

Un lavoro nato nella tournée di The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, disco uscito dieci mesi prima di Aladdin Sane, che trasformò Bowie in una rockstar negli States ma che gli provocò anche una seria dipendenza dalla cocaina. È proprio in questo periodo che Ziggy Stardust muore giubilato da David e la sua fine è sancita da quel titolo strano, che poi non è altro che un gioco di parole: A lad insane, un ragazzo impazzito.

Lui, appunto. Se la fama improvvisa e gli estenuanti tour non lo hanno risparmiato, musicalmente l’album è un misto tra certezze rock’n’roll e sperimentazione. Visto con gli occhi di oggi, un lavoro che potrebbe benissimo essere uscito settimana scorsa: ascoltate Panic in Detroit, Let’s Spend The Night Togheter, il pure blues The Jane Genie o Watch The Man, un rock-blues alla Rolling Stones, nel quale la voce finisce per sembrare quella di Jagger. Aladdin Sane, title track, merita un ascolto più approfondito. È un raffinato prodromo di quello che diventerà, nelle sue future mutazioni, la musica del Duca Bianco.

Il clou della canzone è un assolo di 1 minuto e 30 secondi al pianoforte di Mike Garson: si entra dritti nel free jazz, una scossa anomala nel brano, mentre il basso di Trevor Bolder tiene il tema, Mike Ronson alla chitarra ricama interventi minimi e Mike Woody Woomansey alla batteria si limita al minimo sindacale. Garson è protagonista, si avvertono echi di son cubano, addirittura le prime battute di Tequila dei The Champs, anno domini 1958.

Il 14 aprile uscirà una nuova edizione per festeggiare il 50esimo su LP inciso a velocità dimezzata, lavoro di John Webber ai londinesi AIR Studios, e un LP con il disco stampato con la cover, ottenuto dallo stesso master. Che ascolto!