L'editoriale

Berlusconi, ti ricordo così

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di Claudio Brachino

Quando ho visto nelle dirette tv l’immagine del feretro di Berlusconi che entrava a Villa San Martino ad Arcore, ho avuto una sovrapposizione prospettica della memoria: da quel punto di vista quando si apre il cancello subito si vede sullo sfondo la porta a vetri dell’ingresso.

In un sabato afoso del settembre del 2019 il Cav era lì fuori in piedi che mi salutava con ampi movimenti del braccio. C’ero solo io, c’era solo la mia macchina che usciva. È stato il nostro ultimo incontro professionale e personale. Ho ricostruito questa inquadratura esistenziale per dire una cosa centrale tra le migliaia che si possono dire in queste ore di un uomo complesso come Silvio.

Il fattore umano è stato sempre il suo centro, quell’uomo importante accompagnava tutti sull’uscio della sua villa con la sua democratica dolcezza. La persona, le persone sono state dunque il focus della sua visione, la comunicazione come suprema arte dell’ascolto non solo come seduzione, pur essendo stato il re del se-ducere, del saper condurre l’Altro sul proprio cammino.

Il capitale umano, di cui tanto si parla in questi vorticosi tempi dell’intelligenza artificiale, era l’elemento imprescindibile anche della sua visione “economica”, del suo essere imprenditore prima che politico. Forza Italia nasce sul finire del 1993 come un movimento nuovo e rivoluzionario rispetto alla governance dei vecchi partiti spazzati via dal vento furioso di Tangentopoli, a eccezione degli eredi del Pci.

Nasce non solo sulla genialità empatica di un leader, ma anche e soprattutto sul suo carisma imprenditoriale, le tre tv con cui sfidava la Rai, il Milan delle stelle che aveva già vinto scudetto e Champions, due città avveniristiche, oggi le chiameremmo smart city, Milano2 e Milano3.

La vittoria, imprevista e straordinaria, alle elezioni del marzo del 1994 non è tout court la vittoria del populismo di un tycoon all’italiana sulla vecchia politica.  È la vittoria di una visione formalmente liberista ma intrinsecamente umanista.

L’uomo del fare ce la può fare, il sogno non è platonismo infantile ma energia propulsiva per cambiare la realtà. Non esiste per me la parola impossibile, diceva spesso ai suoi collaboratori, e rendere possibile un’idea, crederci fino a farla diventare concreta, è l’eredità valoriale più grande che ci lascia.

L’ottimismo non come spirito del tempo, ma come assoluto filosofico per aggredire il futuro nelle sue varie forme storiche. Quell’ottimismo di cui ha bisogno l’Italia e i suoi protagonisti del fare, quelle eccellenze che raccontiamo in ogni numero e fanno grande il nostro Paese. Le battute del pezzo sono finite ma i ricordi non finiscono mai.

Caro Silvio allora io ti ricordo così, in quel saluto infinito, in quel dolce sorriso sulla porta del tuo regno.