L'editoriale

Per quale Occidente

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In questi giorni si parla tanto di Europa, di Patto di Stabilità e di Mes; il Mes, soprattutto, è diventato una polemica italiana tra i soliti Guelfi e i soliti ghibellini. Qualche volta addirittura ci sono guelfi e ghibellini dentro i guelfi e ghibellini, quindi dentro l’opposizione e dentro la maggioranza.

Mentre si parla di tutte queste cose, anche autorevoli, il mondo cambia, gira e va compreso. E noi rimaniamo fedeli alla nostra linea, dichiarata fin dall’inizio con una parola semplice crasi di due entità: il mondo oramai è “glocal” e noi cerchiamo di mostrare sempre ai nostri lettori il nesso fra i mutamenti rapidissimi della geopolitica e quelli dell’economia, per dire che, in fondo, chi fa sedie in Brianza e magari ha fatto anche buoni profitti prima del Covid, negli ultimi tre anni ha dovuto cambiare prospettiva almeno dieci volte.

C’è stata la disruption digitale della pandemia, poi l’invasione dei carri armati di Putin in Ucraina, poi la grande inflazione, poi i tassi di interesse alle stelle e ora la crisi mediorientale i cui sviluppi sono ancora tutti da vedere.

Il mondo cambia rapidamente. Putin è andato nei paesi arabi a parlare di danaro, di energia e di armi e ha detto “Io sono l’alternativa all’Occidente”. La grande Russia, quella della grande letteratura e della grande cultura, si pone ormai fuori ufficialmente dall’Europa.

Questo, non per essere pro o contro Putin, è un dato di fatto.

Lo abbiamo schiacciato, pur difendendo giustamente Zelensky, nella cosiddetta geopolitica asiatica e ora dice di essere un’alternativa all’Occidente. Il mondo sta cambiando, ci sono nuove alleanze e nuovi protagonisti entrati sulla scena, tra cui molti Paesi arabi. Zelensky va addirittura in America e cerca ancora di farsi ascoltare per ottenere soldi e armi con cui combattere la sua battaglia. Dice che questa non è solo la sua battaglia. Se Putin dovesse vincere in Ucraina sarebbe a rischio la democrazia in tutto l’Occidente.

Perché mettiamo in fila queste cose? Perché la nostra economia cambia e deve tener conto di tutto questo. Allora ritorniamo all’inizio. Anche l’Europa deve avere un ruolo in politica estera, dovrà dotarsi nel tempo di un suo esercito, dovrà avere una voce nelle grandi crisi, l’ha avuta in quella ucraina ma non ha un ruolo da protagonista in una prospettiva di pace. Ha una voce minima, flebile in una zona del mondo delicatissima come il Medio Oriente.

E allora è giusto che l’Europa si dia delle regole per evitare che i debiti pubblici dei vari paesi diventino insostenibili. È giusto che combatta l’inflazione, è giusto che il prossimo anno ci si attenda che la Bce, visto che l’inflazione è calata, torni a tassi di interesse più accettabili per i cittadini e per le aziende, anche per le nostre Pmi. È giusto che l’Europa parli della sua stabilità, ma è giusto soprattutto che parli di una sua funzione, importante in questo nuovo contesto dove in effetti non ci sono più solo l’America, l’Occidente, la Nato e gli alleati possibili, ma delle dimensioni nuove.

In questo scenario ha fatto notizia quella che noi abbiamo chiamato Via dalla Seta più che Via della Seta, un accordo commerciale molto forte con la Cina stretto durante il governo Conte, con una sua solita sigla incomprensibile. Unici tra i Paesi dell’Occidente che hanno fatto un accordo così specifico, ne siamo usciti, si dice, in parte sotto la pressione americana (e noi siamo vicini all’America e atlantisti).

Però è certo che uscire così ci espone a qualche contrasto. Per gli affari la Via della Seta non è servita a nulla, lo dicono i nostri reportage. Francia e Germania hanno mantenuto degli accordi tradizionali e hanno fatto più affari di noi. Ma sul piano formale rappresenta un po’ un incidente con la Cina.

Probabilmente non ci saranno vendette e i rapporti di partenariato saranno rispettati. Ma certo è che nel mondo che verrà la Cina avrà un peso molto importante. Noi non potremo stare soltanto tranquillamente adagiati sull’America.