L'editoriale

Fenomenologia del Festival

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Di Claudio Brachino

Un terremoto apocalittico, una guerra che sembra senza fine e i nostri mutui così alti da dover vendere la casa. Però si parla solo del festival. In fondo, meno male che Sanremo c’è. Cosa sarebbe l’Italia senza questo mese di polemiche vere e finte, intrecciate a canzoni belle e brutte, il tutto annodato a questo miscuglio di alto e basso che ci lascia attoniti intontiti divertiti smarriti ammirati qualche volta arrabbiati.

La parola simbolo di questo mixer magmatico è Pop, un evento in cui tutto diventa popolare, leggero, comunicabile. Nel caso specifico del festival per antonomasia, l’evento pop è anche un evento di massa, una liturgia collettiva della comunicazione.

Ecco perché si discute tanto di Zelensky, ecco perché è andato alla serata inaugurale il Presidente Mattarella, dove ha celebrato la nostra Costituzione. Un fatto politico? Certo. Non partitico, non ideologico, ma specchio della radice della parola, quella polis che è lo spazio da sempre di una democrazia.

Nella moderna agorà mediatica il messaggio è arrivato, calcolando l’intero programma, al 62,4% di quelli che erano davanti alla tv, in valori assoluti 10,7 milioni. Per trovare un botto simile al debutto della kermesse bisogna risalire al 1995, un’altra epoca geologica del paese, della Storia e della stessa tv. Come uomo di televisione che per più di trent’anni ha affidato alle dieci di mattina umore e carriera a quei numeri, ricordo che oltre ai valori assoluti ci sono i contatti, cioè quelli che passano almeno per un minuto a vedere il programma.

I contatti sono molto importanti per valutare la tenuta di una scaletta e di una conduzione, per la pubblicità e appunto per la politica. Le cosiddette teste che hai raggiunto. In una prima serata lunga, che comincia poco dopo le 21 e finisce circa all’una di notte, i contatti sono altri milioni di teste rispetto al valore medio assoluto.

Nel tratto in cui è stato ospite il nostro Presidente, dalle 21,18 alle 23,44, gli ascoltatori sono stati 14.170.000 medi. Insomma il messaggio che l’Italia unita della nostra meravigliosa Costituzione non si tocca, è stato un autentico messaggio collettivo.

Poi si discuta pure di riforme, di Autonomia differenziata, e lo facciamo anche noi con l’intervista al ministro Calderoli, ma nessuno deve separare quello che è stato pensato per stare insieme.

E poi il momento è quello che è, si parla di anarchici come non succedeva da tanti anni, il caso Cospito che da umanitario e giuridico è diventato istituzionale. E poi la situazione economica, in perenne bilico tra inflazione e recessione, con la Banca centrale europea che aumenta i tassi con rigore e rapidità, una politica monetaria che lascia perplessi economisti e cittadini, i secondi alle prese con prestiti e mutui ormai ingestibili (la nostra inchiesta).

Insomma ci voleva un Capo dello Stato che si cala, con simpatia, nel regno del pop e ci ricorda, tramite un super connettore popolare che è Benigni, che quella è la nostra Carta, quella che definisce la nostra identità. Meno male dunque che Sanremo c’è, più che un oppiaceo è un antidepressivo.

Chiarita la cornice teorica del nostro ragionamento, perché allora tante polemiche sul video di Zelensky nella serata finale? Un evento pop, ma non trash, un evento di comunicazione di massa come detto, non serviva a tenere desta un’Italia che spesso non si desta sulle questioni internazionali, guerra compresa?

Non voglio entrare nelle vicende interne deontologiche e di governance di un’azienda, in questo caso la Rai, né voglio cadere nella trappola mille volte descritta, i guelfi e i ghibellini del dibattito pubblico italiano. Ricordo solo che siamo stati noi, noi occidentali tutti, a cristallizzare la narrazione del leader ucraino come vittima assoluta: è all’interno di questa narrazione che noi, noi occidentali tutti, mandiamo armi da un anno.

Io sono tra quelli che pensano sia giusto aiutare militarmente chi è stato aggredito ma pensa pure che prima o poi dovremmo in qualche modo indicare un limite. Un point break, un punto di rottura, delle onde come dell’eventuale escalation.

Se Zelensky fosse andato a Sanremo, avrebbe anche vinto con un rap. La battuta è buona, è dei russi. L’unica cosa buona che hanno partorito da un anno a questa parte.