L'editoriale

Il richiamo del Papa e il “game” della Politica

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L’ossessione del tempo. Il nostro, giornalistico, è quello di provare a dare un senso a quello che sta per succedere. Ma mentre nel meteo la tecnologia permette una certa attendibilità a sette giorni, in politica diventa a volte impossibile.

Perché anche nel regno delle strategie razionali fino al cinismo si annida il fattore umano, l’imprevedibilità dell’inconscio o piuttosto le sue capacità di terremotare l’ordine della coscienza. La fine analisi sfocia nella psicanalisi fortuita su mezze frasi, spesso rubate o fatte rubare, su gesti simbolici, atti mancati, lapsus, apparenti schizofrenie nel discorso pubblico sempre più lontano dalla logica apollinea del Potere.

A oggi e nell’arco di pochi giorni il governo Meloni è pronto per nascere, ma ci muoviamo nell’umiltà dettata dall’Amleto di Arcore. Nella follia apparente del Cav, dall’appoggio non dato a La Russa allo scambio alcolico con Putin, c’è un metodo, direbbe Shakespeare. Dove porta quel metodo forse lo sa solo chi regna incontrastato nella corte interna del cervello del vecchio sovrano.

In tutto questo scenario c’è però il tempo del mondo esterno, quello oggettivo dell’Italia. Poco, breve. I problemi sono quelli su cui si dibatte fino alla noia o alla coazione a ripetere, per stare a Freud, dal caro energia alla finanziaria, all’attuazione del Pnrr, al fisco, al lavoro, alle pensioni, lungo l’asse locale-globale del mio giardino e del giardino del mondo.

La guerra in Ucraina, il destino di Putin e il ruolo della Cina nei prossimi decenni possono cambiare la qualità della mia vita quando compro il pane e il latte, sempre meno il pesce e la carne, quando pago il mutuo o i vari debiti che ho, quando vado a pagare le bollette. O quando non ho più soldi per farlo, e dichiaro la bancarotta della mia azienda, della mia famiglia, della mia persona.

Con tutto questo non si può giocare, in senso politico, tanto più che gli italiani, non in massa ma in maggioranza, sono andati a votare e hanno dato un’indicazione chiara. L’abbiamo scritto proprio in questo spazio, la democrazia ha fatto il suo corso e le sue sentenze vanno accettate, anche culturalmente. Poi, però, come prevede il Dna di un meccanismo rappresentativo, le responsabilità vanno onorate.

Ha vinto la Meloni certo, ma dentro una coalizione che si è presentata unita agli elettori. Il centrodestra ora deve dimostrare di non aver preso in giro quei milioni di persone che l’hanno scelto per mettere mano ai problemi urgenti del Paese. Da sempre ci sono giochetti e sgambetti nella formazione di un governo, ma ora no, non si può. Per evitare che gli astenuti diventino il 60% non si deve entrare nella sfera dell’Inaccettabile.

Non è un discorso ideologico o partitico, il tema sarebbe stato valido anche con altri vincitori. È a rischio ancora una volta il senso profondo della democrazia, con l’incubo oltretutto, oggi, domani, dopodomani, ma sempre dentro la stessa legislatura, di maggioranze fragili che cedono il passo ad ammucchiate parlamentari nel nome di tecnocrazie fintamente super partes. Sarebbe la fine senza ritorno dell’era della politica, sempre ormai seconda a qualcos’altro, dalla giustizia all’economia.

Un altro leader, questa volta però spirituale, un signore che si chiama Francesco e di mestiere fa il Papa, ci ha sferzato su un’emergenza morale decisiva per il nostro futuro, la disuguaglianza che cresce, il divario fra chi ha e chi non ha che diventa doloroso fino al disgusto. Non è il grido di un sociologo o di un giornalista fazioso, ci sono i numeri della Caritas riferiti al 2021: in Italia i poveri hanno superato i 5 milioni e mezzo, quasi il 10% della popolazione. Fenomeno più drammatico al Sud, in senso geografico, e nelle fasce giovanili, in senso anagrafico. Ma le sottostatistiche ci interessano meno del dato generale, e cioè che con il Covid prima e la guerra poi, compresa la guerra dell’energia, gli infelici aumentano. Non basteranno cinque generazioni per accorciare la scala sociale. Tra i tanti nodi irrisolti che dovrà affrontare subito il nuovo governo c’è il reddito di cittadinanza. Non dimenticando che ormai molti sono molto meno che cittadini.