L'editoriale

Il romanzo della democrazia e la politica dello sguardo

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di Claudio Brachino

Don’t look up, non guardare in alto, grande film dell’inizio di quest’anno. Un meteorite sta per distruggere la Terra, l’allarme è stato dato ma i media danzano sul Titanic della loro realtà parallela. Mutatis mutandis, senza moralismi e con la par condicio applicata anche al tema universale delle corna (simpatia sia per Totti che per Ilary), colpisce che il romanzo popolare della loro separazione occupi da un lato il mainstream e dall’altro appassioni la gente più del romanzo della democrazia, ovvero l’ultimo miglio prima del voto.

Certo la grande platea non ha potuto godere del confronto Letta-Meloni, ospitato nel salotto del “Corriere” e non sulla cara tv generalista, a sua volta apparsa ben felice di fuggire altrove, di piangere la Regina e rimestare un po’ nelle corna reali di Carlo, Camilla e Diana. Tutto normale, nessun dito puntato contro nessuno, ma è proprio questa normalità che mi preoccupa per la salute della democrazia. Sarebbe grave se troppi italiani non dovessero andare a votare e soprattutto non avessero capito niente dei programmi, buttati lì in fretta nella sequenza ombrelloni- amori vip.

Noi cocciutamente seguiamo la nostra linea e vi raccontiamo i progetti economici di leader politici e intellettuali competenti. Per conoscere, per capire. Noi cocciutamente facciamo le inchieste sui temi rilevanti per la collettività, come sapere che fine hanno fatto e faranno i soldi del Recovery. Non spenderli bene, anzi non spenderli affatto, sarebbe da folli, anzi da ricovero forzato. Chiarito il titolo di apertura andiamo a un numero: l’80 per cento delle piccole e medie imprese, la nostra community di riferimento editoriale, non avrà niente dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Gli imprenditori lavorano e non hanno tempo né di preparare i progetti, né di rivolgersi a persone qualificate per proporne di adeguati.

Eppure sono mesi che parliamo di questa montagna di danaro che in cinque anni dovrebbe cambiare l’Italia e curare le ferite del Covid e quelle di una guerra allora non prevista, ma che sta cambiando in modo brutale la geopolitica mondiale dell’energia. Se dovessimo fare l’anatomia delle nostre bollette mostruose, quelle che mettono in ginocchio le famiglie e stanno facendo chiudere le aziende, vedremmo in controluce i carri armati di Putin. E anche della guerra si parla poco e male, non si spiega all’opinione pubblica che la controffensiva di Kiev, senza nessun segnale concreto di pace da nessuna parte, non vuol dire la fine del conflitto. Anzi proprio ora è massimo il rischio che la Russia passi a un attacco più violento e il dramma si allarghi pericolosamente.

Don’t look up, eppure è lì la genesi del nostro drammatico autunno economico. Al caro energia dobbiamo aggiungere l’inflazione, l’aumento del costo del danaro, gli stipendi (quando ci sono) sempre uguali, la recessione messa in conto da un’Europa che pure con il virus aveva fatto uno scatto d’identità importante e ora stila il diario dei razionamenti senza però un tetto comune al prezzo del gas. C’è chi vuole ridiscutere gli accordi del Recovery, il contesto storico è mutato, c’è chi parla di fare altri scostamenti di bilancio, dunque altro debito, perché presto dovremo aiutare un milione di disoccupati. Intanto però, con l’umiltà del realismo, spendiamo bene i soldi che già ci sono e sono più del Piano Marshall post bellico calcolato in euro. Il tema è sempre lo stesso, tra le aziende e la burocrazia delle istituzioni c’è un vuoto, un buio comunicativo. Aiutare le imprese con i liquidi (pagare l’energia), con la detassazione, con gli incentivi non sporadici, ma soprattutto coprire in fretta quel buco. Per evitare di sprecare soldi già stanziati , ma anche per evitare che i soldi vadano sempre nei posti e nelle tasche sbagliate, a cominciare dalle mance elettorali o dalle metastasi di bonus non strutturali.

Don’t look up, e invece no, noi guardiamo il cielo per vedere cosa arriva e guardiamo la terra per capire cosa fare, qui, subito, prima che sia troppo tardi.