L'editoriale

La rinascita delle Pmi della Romagna

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di Claudio Brachino

Ricominciare, reagire, ripartire. No, la parola giusta, la parola delle parole è rinascita. Le Pmi della Romagna finite sotto l’acqua e sotto il fango sono già all’opera per “tornare una seconda volta” alla vita. C’è gente che spala non solo per le strade e per le case ma anche dentro le aziende, i dipendenti accanto ai “cosiddetti” padroni, ma anche amici, conoscenti e sconosciuti.

Questo per dire che la vecchia fabbrica della civiltà novecentesca è diventata un bene comune, una fonte di ricchezza certo, ma in primis del territorio. Il lavoro è coesione, comunità, anzi sostanza e sistema nervoso di una comunità che si riconosce negli stessi valori e nella stessa idea di vita e di futuro. Poi certo ci sono le considerazioni razionali, i numeri, le statistiche, la complicata quantificazione dei danni.

Non ci vuole un Nobel per capire che si tratta di una catastrofe economica. La bellissima Fruit valley adagiata su questo fertile lembo di pianura tra gli Appennini e il mare ora è diventata un mare torbido per la suggestione dei droni. Una sorta di immensa diga innaturale a sfavore dell’uomo. La filiera delle piccole medie imprese di queste parti è un fiore all’occhiello della nostra agricoltura, frutteti e allevamenti, ma non solo, ci sono l’artigianato, la meccanica e le infrastrutture.

L’Emilia Romagna è una delle regioni dove le Pmi, non tanto per numero quanto per eccellenza e fatturato, incarnano alla perfezione quel modello di rapporto fra imprenditoria e territorio di cui ha parlato recentemente anche il Presidente Mattarella, un modello unico al mondo e che il mondo ci invidia. Ora tocca alla politica battere un colpo, la premier Meloni ci ha messo la faccia anticipando il rientro dal G7 in Giappone e andando tra la febbre emotiva della gente. Ora bisogna metterci soldi e idee. Al di là del bollettino degli aiuti e della burocrazia di quali fondi usare, lo dico con rispetto, bisogna trovare una governance, un centro organizzativo se non per la rinascita, a quella ci pensano i romagnoli, almeno per la ricostruzione.

La speranza è che il superamento delle barriere ideologiche, più resistenti degli argini dei fiumi, non sia stata solo un’illusione dettata dall’emergenza. A proposito, una parte ce l’abbiamo anche noi, cosiddetti comunicatori. Nell’era dell’obsolescenza del web, dove le notizie scorrono nella coscienza con la velocità delle bombe d’acqua del climate change, non bisogna solo stare sulla cresta dell’onda ma andare a vedere dove finisce l’onda.

Insomma non bisogna staccare la spina narrativa da questa tragedia e stare davvero vicino a questa gente, a queste imprese. Eh sì, anche la comunicazione ha bisogno di una sua rinascita!