L'editoriale

Le sfide che verranno e il pensiero magico

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di Claudio Brachino

Due squadre di calcio si affrontano nella finale di un importante torneo. Entrambe sono ben allenate e ben disposte in campo, una è leggermente inferiore sul piano tecnico e dunque parte svantaggiata (underdog). Nel corso del primo tempo però giocando con meraki (con tutta sé stessa) è passata in vantaggio.

All’intervallo l’allenatore le ha dato la spinta decisiva e ha invitato i giocatori ad affrontare il resto della partita con orgoglio e ottimismo. Alla fine quella squadra vince il prestigioso trofeo.

Non è solo una metafora della vita, nello sport succede per davvero e molto spesso, soprattutto nell’amatissimo calcio, con buona pazienza dei mie colleghi sportivi maniaci della tattica. Si gioca a pallone con i piedi buoni, certo, ma anche con la testa. Dei singoli e della squadra, quella mente collettiva che è ancora un mistero della nostra specie.

È una metafora applicabile alla politica e alla narrazione di una leader che si rivolge al suo Paese in un momento delicato della Storia per motivarlo? La Meloni lo sta facendo, le tre parole messe in corsivo sono state dette in contesti pubblici tra la vittoria elettorale e la fine dell’anno. Facciamo un breve ripasso semantico.

Underdog, ovvero un atleta dato per sfavorito nei pronostici, chi parte svantaggiato. Come chi parte da un quartiere periferico di Roma e diventa la prima donna presidente del Consiglio. Chi fonda un partito nuovo di zecca (con La Russa e Crosetto) e lo porta in dieci anni al 30%. Come dire, io ce l’ho fatta, puoi farcela anche tu, non proprio uno specchio riguardo alle cose ma al principio, cioè combattere per i propri valori e i propri sogni pensando alla meta come qualcosa di raggiungibile e non di illusorio.

Meraki, fare una cosa con tutto sé stesso, con tutta la propria passione e la propria anima. Una parola tratta dal greco moderno che la Meloni ha usato per ricordare il suo impegno totale nel ruolo che sta svolgendo ma che dovrebbe avere l’Italia tutta per farcela in un momento geopolitico così enigmatico.

Ottimismo, termine noto a tutti che la premier però ha contestualizzato nell’intervista a Vespa: abbiamo una grande forza intrinseca come nazione ma spesso ci è mancato ottimismo e orgoglio, gli italiani non si aspettano miracoli ma che tu faccia la cosa giusta.

Do the right thing direbbero gli inglesi, e la lingua della citazione non è casuale perché a questo punto del discorso mi viene in mente il primo strepitoso, vibrante Obama di Yes we can. Tu puoi, noi possiamo, tutti insieme, se ci crediamo.

Su questo piano, mutatis mutandis dall’America del primo presidente nero all’Italia della prima presidente donna, nessuno può incolpare Giorgia di nulla. L’impegno è totale. Il tema è semmai un altro, questa narrazione motivazionale può bastare a dare una spinta collettiva per affrontare il futuro, le grandi sfide che abbiamo riassunto nel titolo e nelle domande che abbiamo fatto ad alcuni tra i migliori cervelli in circolazione?

La contestazione è che senza una competenza politica, economica, amministrativa, senza una concezione pragmatica e non psicologistica della res pubblica, si finisce nello strapiombo.

Se una squadra, torniamo alla metafora calcistica, non è ben allenata e ben disposta in campo, se non hai i campioni e una visione di gioco, la partita la perdi. Vero, verissimo, ma è anche vero il contrario. Se hai dei buoni elementi di partenza, vedi i dati positivi sulla crescita e l’occupazione, quell’eredità che tutti riconosciamo a Draghi, allora per vincere le infinite partite del 2023 ci vuole anche la testa, l’angolazione con cui si guarda il mondo.

Già ci tenta l’eterna tenzone guelfi-ghibellini anche in questa riflessione, per cui l’ottimismo sarebbe un feticcio della nuova destra e il pessimismo il fardello pirandelliano di un Pd alla ricerca dell’identità e del segretario come i famosi sei personaggi in cerca d’autore.

In fondo però con le feste natalizie torniamo tutti un po’ bambini, e la cosa più preziosa del nostro essere bambini è il pensiero magico, l’idea che i nostri desideri diventino realtà perché li abbiamo pensati. E non era un bambino quello nato a mezzanotte per salvare il mondo?