L'editoriale

Le vite degli altri

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di Claudio Brachino

Se a ogni azione corrisponde l’ombra di un reato, l’equilibrio di una democrazia è già a rischio, perché il giudiziario ha già preso il sopravvento sul politico. Ho parafrasato così l’incipit di un celebre saggio di uno dei più grandi filosofi europei, Slavoj Zizek, dove giudiziario e politico non sono semplici reparti concettuali o istituzionali, ma narrazioni.

Siccome l’opinione pubblica è invasa ormai di narrazioni, liberale, populista, socialista, narcisista e chi più ne ha più ne metta, faccio una piccola digressione. Narrazione nel nostro caso è l’organizzazione in un unico sistema simbolico di idee, storie, uomini, visioni, modelli comunicativi, che nell’insieme costituiscono una lettura dominante della realtà.

Nel giudiziario, e non nella semplice giustizia, non esistono ad esempio innocenti ma solo colpevoli che spesso non si riesce a dimostrare che siano tali. Una gara d’appalto è a priori un’occasione di corruzione. Un sindaco è sempre in bilico tra legalità e illegalità. Un politico, specie se importante, è sempre potenzialmente coinvolto in qualche vicenda oscura.

Magistratura e politica si rincorrono in questo paese con reciproche scorrettezze almeno da Tangentopoli in poi, un’inchiesta che non ha solo perseguito dei reati e dei responsabili, ma ha chiuso un’intera stagione storica, quella della Prima Repubblica, che certo non ha avuto solo mostri e misfatti. Da allora l’equilibrio dei poteri, sintomo decisivo della salute di una democrazia, è di fatto saltato.

Negli ultimi trent’anni i leader più popolari e di maggiore successo, Berlusconi, Renzi, Salvini, hanno avuto e hanno, chi più chi meno, problemi giudiziari. La magistratura, una parte, quella ideologizzata e annodata al potere mediatico, ha dettato l’agenda politica del paese attraverso inchieste definite in genere ad orologeria.

A questa accusa fa da pendant il grido simmetrico opposto di chi si lamenta del continuo attentato all’autonomia delle toghe, valore anch’esso fondamentale della Repubblica e della Costituzione e ribadito, mentre scrivo, dal Presidente Mattarella.

La verità è che oggi, dopo tante riforme fallite, compresi i pannicelli caldi della Cartabia, bisognerebbe trovare un nuovo equilibrio dove le istanze liberali e garantiste e il rispetto del lavoro dei giudici, con la conseguente marginalizzazione delle frange estreme, trovino una quadra tanto lontana quanto necessaria al paese. Sulla necessità si è già espressa l’Europa, di cui si parla in queste ore per il vino e per gli insetti, ma che è stata mamma di tutti con i soldi del Recovery Fund.

Nelle condizioni della riscossione delle rate del Pnrr, ebbene sì, c’è anche la riforma della nostra giustizia, una macchina che Bruxelles considera complessivamente inefficiente. Processi lunghi, troppi soldi, la vita di cittadini e di aziende spesso rovinate in-giustamente, un settore civile troppo burocratizzato, un tributario considerato antiquato, e un penale da decenni al centro di dibattiti feroci.

E, parliamoci chiaro, è l’empasse sul penale che penalizza l’eventuale e ogni volta rimandata rivisitazione complessiva. Ora ci sta provando Nordio, ministro fortemente voluto dalla Meloni che però, secondo i rumors, metterebbe in imbarazzo la premier con le sue posizioni troppo dure sulle intercettazioni.

Certo andare in Parlamento e prendersela con i Pm antimafia poco dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, avvenuta grazie all’uso magistrale delle intercettazioni, fa di Nordio un perfetto idealista e un politico imperfetto. Poi, che la sua giacca la tirino in senso opposto Lega e Forza Italia ma con l’obiettivo comune di risalire nei sondaggi se non di innervosire la capa, è meno interessante del merito.

L’arresto di un boss non deve essere il dito al posto della luna, la discussione sulle intercettazioni è legittima, senza estremismi ideologici ma ricordando anche inutili eccessi e facili, troppo facili pubblicazioni. Ascoltare la vita degli altri, grande film sullo spionaggio nella Germania dell’Est, serve dove serve ma non serve più quando diventa patologia. Non dell’individuo ma del Potere.