L'editoriale

L’Eneide

Scritto il

di Claudio Brachino

Non è il personaggio mitologico della grande epopea virgiliana, quello che fugge dalle rovine della sua città in fiamme, Troia conquistata dai Greci, e dopo mille peripezie approda sulle coste del Lazio per dare il via alla storia di Roma.

Il nostro Enea è un piccolo essere indifeso protagonista di un semplice, commovente pezzo di cronaca. È stato abbandonato, probabilmente dalla madre, nella culla della vita alla Mangiagalli di Milano con una lettera che in sostanza dice questo: lo amo ma prendetevi cura di lui, io non sono in grado.

Non è certo la prima volta che mettere al mondo qualcuno vuol dire poi accompagnarlo nel mondo, crescerlo, educarlo, istruirlo, farlo diventare a tutti gli effetti un adulto capace di badare a se stesso e affrontare le sfide della vita. Per tutto questo ci vogliono gli attributi e un bel po’ di soldini. Per questo il piccolo Enea diventa non un eroe epico, ma il protagonista suo malgrado del più potente racconto neo-realistico di Pasqua.

Ci ricorda che in questo paese, qualunque siano state le ragioni anche poco etiche di chi lo ha abbandonato, esistono le cosiddette fragilità, terra di mezzo fra l’essere e l’avere, e che non tutti quelli che vengono alla luce godono davvero delle stesse chance.

Ecco il punto è proprio questo, Enea non è solo il simbolo della povertà, quello è evidente. È soprattutto il simbolo della disuguaglianza che ormai divide sempre di più gli italiani in due paesi. Uno che sta molto bene o comunque bene, che lavora, guadagna e a Pasqua spende (le casse del nostro turismo laicamente ringraziano) per il meritato riposo, che riempie le città d’arte, mangia al sole in spiaggia o si gode l’ultima sciata.

L’altra che rimane a casa a guardare calcio, reality o serie a go-go, oppure fa la gita di Pasquetta nel parco più vicino. Se va bene. Sennò, anche peggio, fa i conti per mutui e bollette e non compra neppure l’uovo di cioccolato al supermercato.

Della colomba neanche l’odore, e hanno fatto discutere proprio nella Milano dove è stato abbandonato Enea le colombe luxury di alcune pasticcerie a più di 400 euro. E ancor più ha fatto discutere che c’era gente che se le comprava. A proposito di discussioni, siccome lo diciamo sempre noi siamo gli eredi nevrotici dei guelfi e dei ghibellini, anche il povero, in tutti i sensi, Enea non ha solo commosso ma ha fatto pure litigare.

La pietra dello scandalo è stato il supervip, e presumiamo super ricco Ezio Greggio che nell’anelito di aiutare chi ha abbandonato il piccolo a riprenderselo ha sbagliato linguaggio, tipo il bambino ha bisogno di una madre vera etc etc. Subito i social lo hanno sbranato e subito l’associazione di turno, quella dei genitori adottivi, è insorta.

Conosco Ezio da tanto tempo, gli studi dove per anni ho fatto Studio Aperto erano confinanti con Striscia la notizia, non credo che abbia voluto offendere nessuno, tantomeno l’autenticità dell’amore di chi adotta un bambino. Giuste le precisazioni, però per me la generosità vince sul politicamente corretto, mentre purtroppo con il web non abbiamo nulla da fare, entra ormai anche negli affreschi del neo-realismo moderno. Allora, più che ai social torniamo al messaggio sociale della storia.

Nessuno deve dimenticare chi ha di meno, noi tutti come cittadini, le istituzioni locali e nazionali, la Politica con la p maiuscola. La discussione è già a livelli alti sul reddito di cittadinanza ma con l’equivoco ideologizzato della definizione di povertà assoluta. Una democrazia non può non proteggere chi deve essere aiutato in toto, ma ha il dovere di assicurare la dignità del lavoro a tutti, come prevede il primo articolo fondante della nostra Costituzione. Poi attenzione, mentre la ricchezza si concentra in tutto il mondo e anche da noi in poche mani, una parte di una sterminata classe media del XXI secolo si impoverisce sempre di più. Se Virgilio nell’epoca del progresso tecnologico è un po’ passato di moda, le Eneidi dei nostri poveri giorni leggetele e rileggetele con grande attenzione.