L'editoriale

Narrazioni economiche

Scritto il

di Claudio Brachino

Chiamale se vuoi narrazioni… Ancora una volta mi appoggio alla saggezza popolare delle canzoni, con qualche gioco linguistico, per analizzare il tempo complesso in cui viviamo.

Prendiamo lo stato di salute della nostra economia.

Da un lato ci sono gli integrati, per usare il vecchio ma sempre funzionante schema di Eco, per cui contano solo le notizie positive che in effetti non mancano. È l’Istat a certificare che il Pil crescerà in questo 2023 anche oltre l’1% e dunque più del previsto. Un dato che si tira dietro altri dati, in primis quelli sull’occupazione, ma soprattutto un’immagine vincente dell’Italia che allontana spread, speculatori e agenzie di rating dal ribasso facile.

Dall’altro lato, sempre per stare a Eco, ci sono gli apocalittici che non solo vedono solo ombre all’orizzonte ma che vedono ombre anche dentro la luce che splende. Il Pil dipende, secondo loro, dalle capacità di innovazione e resilienza della filiera delle Pmi, e non da una reale solidità del sistema Paese, tantomeno dalla lungimiranza o efficacia delle politiche economiche del governo.

Dovrei parlare qui del cosiddetto trasformismo dei depressi pronti all’entusiasmo senza se e senza ma ai cambi di casacca elettorale, ma per ora mi tengo i Savonarola che passa il convento. E poi, presto andremo in recessione tecnica, inevitabile vista la tenaglia in cui siamo finiti.

La guerra in Ucraina prosegue, la Lagarde continua ad aumentare i tassi di interesse con sorda e costante determinazione ma l’inflazione scende più lentamente del previsto. Arriveremo alla soglia ideale del 2% nell’Eurozona alla fine del 2024 e a una nuova, possibile normalità solo nel 2025. Intanto molte famiglie avranno restituito le loro case alle banche per i mutui impossibili e molte aziende, specie le più piccole, saranno fallite.

Uno scenario tutt’altro che irrealistico, ma anziché stare con le mani in mano, bisognerebbe dare battaglia, specie in Europa. Anche sul tema decisivo del lavoro non si sa mai se gioire, un po’ come nel calcio moderno, dopo il gol c’è sempre la mannaia del Var.

I numeri sono positivi, certo, ma letti sul piano qualitativo non dicono niente di buono per i giovani e le donne, ovvero le nostre sfide per diventare davvero una democrazia matura.

Dal nostro canto, fedeli alla linea che abbiamo dichiarato fin dall’inizio, noi scegliamo la narrazione né apocalittica, né integrata della realtà delle imprese, i loro problemi ma anche la loro bravura nel saper leggere il tempo e imporsi all’estero. Si chiama internazionalizzazione, parola brutta in sé e decisamente una trappola per gli anchorman, ma il contenuto è dolce come il miele per le tasche italiche.