L'editoriale

Sulle accise o dell’immortalità delle tasse

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di Claudio Brachino

Fatalità, speculazione, geopolitica, realpolitik. La prima vera discussione di economia reale dell’anno, quella sulle accise che gonfiano i prezzi di benzina e diesel, somiglia in modo inquietante a quella sul caro bollette. Il povero cittadino, a cui ci associamo, vuole sapere come mai ad esempio il prezzo del gas è ai minimi storici alla borsa di Amsterdam ma continua ad essere insopportabilmente alto per le sue tasche.

Fior di tecnici spiegano, anche nelle nostre pagine, la strada tortuosa e apparentemente neutra per cui si arriva a quel dato finale, ma nessuno si prende la responsabilità di intervenire su alcune zone della catena della composizione della cifra per abbassarla. È la sindrome di Garcia Marquez, la maledetta ineluttabile cronaca di una morte annunciata.

Avviene nei fatti di nera, ma spesso, troppo spesso, anche in politica economica. Salvini mette in guardia il governo su possibili speculazioni, le autorità di vigilanza sono tutte allertate, le varie associazioni delle filiere dei carburanti rispondono piccate mostrando dinamiche e aumenti che vanno anche contro il loro interesse.

La domanda allora è sempre la stessa: di chi è la colpa? Di tutti e dunque di nessuno.

Il primo gennaio la sospensione momentanea delle accise doveva finire, lo Stato ha bisogno di soldi. La Meloni è stata chiara, si interverrà, anche perché l’ondata dell’arrabbiatura popolare è stata forte, ma intanto servivano fondi per tappare l’altra emergenza, il caro energia. Insomma l’abbiamo capito, la coperta è così corta e il nostro debito così alto, che spazi di manovra per la felicità universale non ci sono.

Più che cercare i furbi, reali e immaginari, converrebbe una volta per tutte rimettere a posto il rapporto fra gli italiani e le tasse, dove la sfasatura  psichiatrica tra percepito e reale, fra pressione e oppressione, fra giustificato e ingiustificato, dà solo l’occasione per lagne populiste.

E l’hanno capito gli stessi populisti, la nostra è un’epoca così complicata che le ricette improvvisate di leader borderline non funzionano più. Bisogna agire su quel rapporto da un punto di vista pratico, ma anche filosofico e morale. Per avere dei buoni servizi è giusto pagare balzelli, è il modello scandinavo, che era già un modello prima che l’Elevato scoprisse i miracoli del pos in quel di Danimarca. Solo che lì i servizi forniti dal pubblico funzionano.

Da noi le tasse le pagano in pochi, il 12% si carica del 60% del totale, e il danno procurato dagli evasori si aggira intorno ai 100 miliardi di euro. Un paio di ottime leggi di bilancio. Non converrebbe forse, anziché giocare con le varie antropologie elettorali, mettere mano seriamente a questo scempio, del resto ben conosciuto?

Capisco che nella terra di Amleto il basso uso del contante abbia messo fine alle rapine in banca (ora Grillo dovrà assumere gli autori a spasso della serie La casa di Carta), ma ancora pensiamo che la lotta alla grande evasione si faccia con tetti che anche l’Europa ha messo tardi e con limiti alti? In realtà ci vuole più tecnologia e un cambio di mentalità, un rinnovato patto fra cittadino e Stato in termini di equità e giustizia.

Termini e valori che devono essere il cuore e il centro di una riforma globale ed epocale del fisco. Ma a proposito di balzelli, torniamo alle accise, al punto di inizio. Inutile fare ironia, amara, sul fatto che paghiamo ancora la guerra in Abissinia o la costruzione del canale di Suez, quelle misure di volta in volta straordinarie sono diventate da tempo ordinarie, ovvero gettito prezioso e strutturale dello Stato.

Prezioso e indispensabile, questo il termine giusto, che i governi nel tempo siano di un colore piuttosto che di un altro. Nel libro dei sogni, negli annunci da calciomercato pre-voto tutto è possibile, anzi è doveroso dire retoricamente che si tratti di una vergogna. Ma poi bisogna pur governarla la res publica e il principio di realtà di freudiana memoria prende il sopravvento sul lessico infantile. Certo ci sono anche i sogni dei grandi, a occhi aperti. Ma ci vogliono gli attributi….fiscali. Le iscrizioni sono aperte.