Finanza e Risparmio

Ancora poche donne al lavoro in Italia

Scritto il

di Mariarosaria Marchesano

È il mondo della finanza, storicamente il più maschile di tutti, a registrare oggi in Italia una maggiore partecipazione lavorativa delle donne. Magari non arrivano spesso a raggiungere ruoli apicali, ma in questo ambito sono sempre più numerose e in ascesa.

Soprattutto per due ragioni: la prima è la legge Golfo-Mosca, che nel 2011 ha introdotto l’obbligo al rispetto delle quote di genere per società quotate in Borsa, banche e controllate pubbliche. Tale obbligo, di cui a lungo si è discusso per una presunta violazione del criterio del merito, ha fatto salire la percentuale femminile nei cda dal 7,4 per cento al 43 per cento e prodotto un effetto “a cascata” che non è stato ancora misurato. La Banca d’Italia, per esempio, ha stimolato le banche non quotate (e quindi non soggette alle legge) a introdurre una quota minima delle donne negli organi di amministrazione e di controllo.

La seconda ragione che vede il mondo della finanza il pole position nella partecipazione femminile è la bandiera della sostenibilità adottata orma dalla totalità delle imprese quotate, che vede l’inclusione di genere tra i suoi capisaldi, pena l’esclusione dal radar dei grandi fondi di investimento globali che selezionano le aziende su cui puntare in base soprattutto a questi criteri.

Del resto, la grande rivoluzione delle “quote rosa” fu largamente appoggiata e sostenuta proprio da Assogestioni e da Borsa italiana, che vi intravidero la possibilità di innalzare il livello qualitativo dei consigli di amministrazione aprendo le porte alle centinaia di donne pluriqualificate che attendevano in lista d’attesa per candidarsi alle poltrone dei consiglieri indipendenti. E così è stato.

Nonostante questi miglioramenti, e nonostante nel decennio tra il 2012 e il 2022 il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro sia salito al 57,3% dal 53,2 – vale a dire è aumentato di 3,3 punti, il doppio di quello degli uomini – nel confronto europeo l’Italia è ancora sotto di quasi 13 punti percentuali rispetto alla media degli altri Paesi, compresa la Spagna che era partita in condizioni simili all’Italia. Il dato emerge da un rapporto della Banca d’Italia frutto di due anni di ricerca, che ha stimato anche il divario salariale attuale tra uomini e donne, pari al 10%, un livello solo di poco inferiore a quello del 2012.

Insomma, le disparità persistono in termini di opportunità di lavoro, salari e avanzamento di carriera e i ricercatori di Palazzo Koch hanno indagato l’origine del fenomeno.

Una parte rilevante dei divari dipende dalla scelta del percorso scolastico, ha sintetizzato la vice presidente Alessandra Perrazzelli, durante la presentazione dello studio. Succede che nonostante le ragazze siano mediamente più brave fin dalla scuola dell’obbligo, tendono poi a prediligere indirizzi di studio associati a rendimenti inferiori nel mercato del lavoro. Le barriere culturali che disincentivano troppe ragazze a non cimentarsi con lo studio delle discipline scientifiche, che solitamente sono associate a migliori prospettive occupazionali e salariali, comportano un costo significativo che si manifesta dopo il termine del percorso di istruzione: ad un anno dalla laurea la differenza di  stipendio uomo-donna è già pari al 13% ed è del 16% a un anno dal diploma per coloro che scelgono di non proseguire gli studi. Queste differenze non si riducono nel corso della vita lavorativa ma arrivano fino alla pensione. Ed è quella che Bankitalia definisce come “child penalty”.

Interessante la conclusione dello studio che sgombra il campo da qualsiasi retorica sulla disparità di genere. E cioè che la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro limita le prospettive di crescita economica dell’Italia. Le analisi sui Paesi avanzati dimostrano, infatti, che a una più alta partecipazione femminile si associa un reddito pro capite significativamente più elevato. Insomma, l’Italia non si può permettere un mercato del lavoro che fatica a sviluppare e ad allocare in modo efficiente le capacità professionali femminili. E il mondo della finanza è stato quello che lo ha capito per primo.