Finanza e Risparmio

Sui tassi banche centrali in ordine sparso: la Svizzera taglia, il Giappone rialza. E la Bce?

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Di Giorgio Marcata

«Una rondine non fa primavera” recita l’adagio popolare. Però…. Che l’inizio della nuova stagione primaverile coincida con l’inizio della stagione del taglio dei tassi d’interesse da parte delle Banche centrali, dopo un inverno di rialzi che dura da quasi due anni? A sorpresa la SNB ha deciso un taglio dei tassi in Svizzera: la Banca centrale lo ha abbassato dall’1,75% precedente all’1,5%, mentre gli analisti si aspettavano che mantenesse tutto invariato. Una decisione ben accolta dal mercato: subito dopo l’annuncio, il franco svizzero è sceso intorno a 0,9 sull’euro, sui minimi dallo scorso luglio.

Una decisione che sembra aprire le porte, appunto, a simili decisioni da parte delle autorità monetarie consorelle, su tutte Fed e Bce. I segnali ci sono; si tratta di vedere quando. Innanzitutto, la Swiss national Bank è la prima tra le banche centrali che rappresentano le 10 valute più scambiate al mondo a tagliare i tassi di interesse.

Vinta la battaglia contro l’inflazione

Poi c’è la motivazione: l’inflazione elvetica rimarrà al di sotto del 2% in modo sostenibile anche nel corso dei prossimi anni. «L’allentamento della politica monetaria – ha spiegato il numero uno della SNB, Thomas Jordan, nell’annunciare la grande mossa sui tassi – è stato possibile grazie all’efficacia della lotta all’inflazione durante gli ultimi due anni e mezzo: da alcuni mesi di colloca al di sotto del 2% e quindi nell’area che la Banca nazionale assimila alla stabilità dei prezzi». L’abbassamento del tasso di interesse «favorisce anche l’andamento dell’economia. E assicura pertanto che le condizioni monetarie restino adeguate».

La Svizzera si muove, dunque, senza aspettare la Fed e la Bce. Con un taglio che tra l’altro spiazzato molti esperti, visto che la maggior parte degli economisti aveva previsto che i tassi elvetici sarebbero stati lasciati invariati almeno fino a giugno, mese in cui, secondo le aspettative dei trader, dovrebbero essere ufficializzate le prime mosse della Banche guidate rispettivamente da Jerome Powell e Christine Lagarde.

La fiammata contenuta dei prezzi

Va sottolineato che oltralpe la situazione era ben diversa da quella dell’Eurozona sul fronte dei prezzi: la fiammata ha raggiunto nell’agosto 2022 il 3,5%, un tasso record da 30 anni, ma molto lontano dal picco dell’11,5% raggiunto nell’area euro a fine 2022. In più, è tornata sotto la linea del Piave del 2% da mesi, e dall’inizio dell’anno ha accelerato la discesa fino all1,2% di febbraio. Non a caso i tassi SNB erano fermi dal giugno 2023.

Quanto alle previsioni, il tasso medio di crescita dei prezzi è atteso all’1,4% nel 2024, in notevole ribasso rispetto all’1,9% previsto solo tre mesi fa, e all’1,2% nel 2025 rispetto all’1,6% precedentemente previsto. Per il 2026, la banca centrale stima un ulteriore indebolimento del tasso di inflazione, fino all’1,1%. Gli analisti di Capital Economics, interpellati dalla CNBC, hanno dichiarato di prevedere altri due tagli da parte dell’SNB nel corso del 2024, visto che «la banca è apparsa più dovish».

Faro sulle mosse di Francoforte e Washington

Ora le attenzioni si spostano sulla Bce e sulla Fed. Per l’Eurotower i mercati non si aspettano nulla dalla prossima riunione, in programma l’11 aprile. Lagarde lo ha fatto chiaramente capire, pur con il linguaggio criptico che i banchieri centrali europei si tramandano l’un l’altro: «Non siamo sicuri in modo sufficiente» del processo disinflazionistico in atto – ha detto la presidente della Bce al termine dell’ultima riunione del board – «sapremo di più ad aprile, ma ancora di più a giugno». Dunque tassi invariati ancora per almeno due mesi al 4,5%. Non essendoci indicazioni precise sulla data di avvio dei tagli, men che meno ce ne sono sul loro numero e sull’entità: inutile star dietro alle previsioni a dir poco eterogenee di banche, analisti ed esperti.

In effetti, la situazione dei prezzi in Europa è molto diversificata. L’inflazione generale in febbraio è scesa dal 2,8 al 2,6%; desta attenzione l’inflazione core, al 3,1%, con le tensioni create dai rinnovi contrattuali. Anche a livello di Paesi la situazione è eterogenea: secondo i dati Eurostat, si va dallo 0,6% della Danimarca al 7,1% della Romania.

Anche la Fed oltreoceano, tradizionalmente più esplicita della Bce, sembra aver assunto un orientamento lievemente più restrittivo ultimamente. Nella recente riunione ha lasciato il costo del denaro fermo in una forchetta fra il 5,25% e il 5,50%, ai massimi da 23 anni; e ha confermato tre tagli ai tassi entro fine anno fino al 4,5-4,75%, mentre per l’anno prossimo si punta al 3,75-4% e non più al 3,5%-3,75%. Cioè un taglio in meno, da 25 punti base, per il 2025, in parte forse legato all’idea che l’economia degli Usa ha mostrato qualche mutamento strutturale.

Banche centrali in ordine sparso

La divergenza di decisioni tra i diversi istituti di credito sono un riflesso anche di quanto la politica monetaria debba seguire le condizioni macroeconomiche di ogni Paese. La Banca d’Inghilterra ha deciso di prendere altro tempo prima di iniziare a ridurre il costo del denaro nel Regno Unito, seguendo Bce e Fed. Nella riunione di marzo ha deciso di mantenere fermo il costo del denaro al 5,25%, segnalando l’intenzione di varare almeno tre tagli dei tassi di interesse quest’anno. Gli esperti si aspettano che la Bank of England sia tra le ultime banche centrali ad abbassare il costo del denaro, muovendosi nel mese di agosto, mentre Bce e Fed dovrebbero già iniziare la svolta – salvo fatti imprevedibili – all’inizio dell’estate.

Sul fronte opposto vanno annoverate le mosse di Tokio e Ankara. La Banca del Giappone ha appena avviato la stagione dei rialzi: il Consiglio politico della BoJ ha aumentato il tasso di riferimento a breve termine in un intervallo compreso tra lo 0% e lo 0,1%, che rappresenta il primo aumento nel Paese dal 2007 e la fine dell’era dei tassi negativi, applicati dal 2016.

Un percorso ancora diverso è quello della Turchia, che vive in un mondo a parte e applica una politica monetaria tutta sua, su cui incidono pesantemente gli umori del presidente Recep Tayyip Erdoğan. L’andamento dei tassi di interesse è stato a dir poco altalenante nell’ultimo anno tra tagli, rialzi e pause: ora si continua con i rialzi. E anche i numeri sono lontanissimi dai nostri: il Comitato di politica monetaria della Banca centrale turca ha deciso di aumentare il tasso di interesse di riferimento dal 45% al 50%. Un orientamento iper-restrittivo, si sottolinea, «che sarà mantenuto fino a quando non si osserverà un calo duraturo dell’inflazione». Un traguardo non proprio dietro l’angolo: in febbraio l’indice dei prezzi al consumo è salito fino al 67% (dal 64,8% di gennaio) e l’obiettivo definito dal Comitato è del 5%.