Finanza e Risparmio

Le “banche ombra”, bomba a orologeria da 63 trilioni di miliardi

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Di Serena Cammeo

Di zone d’ombra, nella finanza mondiale, ce ne sono non poche, a cercar bene. E ce n’è una che l’ombra lo porta addirittura nel nome: si tratta del cosiddetto shadow banking, il sistema delle “banche ombra”, o in termini più neutri gli intermediari finanziari non bancari. Sono soggetti che prestano soldi a imprese e famiglie senza essere delle banche vere, e per questo sfuggono ai controlli e alle normative in materia di solidità patrimoniale cui le banche devono sottostare. Con tutti gli immaginabili rischi: sia per la loro crescita impressionante (il valore delle loro attività è pari al 78% del Pil mondiale) sia per la loro stretta interconnessione con il sistema creditizio tradizionale. E quindi l’elevata possibilità di contagio. Tre anni fa, l’implosione dell’hedge fund Archegos con il suo buco da 5 miliardi di dollari ha quasi affondato un colosso come il Credit Suisse.

L’allarme di S&P

Da anni si parla di questo problema, si sottolineano i pericoli tutt’altro che remoti di un impatto sistemico legati a questa branca della finanza. In verità non si tratta solo di cattivi e speculatori: ci sono fondi pensione, assicurazioni, hedge fund, società di leasing, fondi di investimento, asset manager. Si legge in un recentissimo report di S&P:

«Le shadow bank continuano a svolgere un ruolo importante nell’intermediazione del credito in molti Paesi. Ciò aumenta l’efficienza e la ricchezza dei mercati finanziari, ma comporta anche rischi significativi»

Si stima che le banche ombra a fine 2022 detenevano circa 63 trilioni di dollari, ossia 63mila miliardi, in attività finanziarie nelle principali aree economiche globali, oltre il doppio rispetto ai 28 trilioni nel 2009. Alcuni di questi istituti, secondo l’agenzia americana di rating, «hanno un leverage elevato e/o pesanti esposizioni creditizie a segmenti economici specifici, come il finanziamento immobiliare. Questo rende alcuni hedge fund o le società di finanziamento (fincos) particolarmente vulnerabili a una potenziale perdita di fiducia degli investitori».

«A prima vista i legami finanziari diretti tra banche tradizionali e banche ombra sembrano limitati – avvertono gli analisti di S&P – ma riteniamo che ci sia più di quanto appaia in superficie. In primo luogo, gli aggregati globali nascondono potenziali concentrazioni di esposizioni al rischio presso determinate banche. E poi i legami possono assumere forme meno facilmente osservabili, come le esposizioni ai derivati. Nel complesso, la significativa presenza delle banche ombra in determinati settori economici o Paesi può renderle rilevanti dal punto di vista sistemico. Sotto stress, potrebbero creare problemi alle banche globali, semplicemente diffondendo o esacerbando rischi finanziari».

Due sistemi legati a doppio filo

Un altro monito di peso è arrivato dal Financial Stability Board: l’organismo internazionale che riunisce ministri delle Finanze, banchieri centrali e autorità di vigilanza di 25 giurisdizioni ha avvertito che il sistema finanziario mondiale è più che mai vulnerabile in questa fase di tassi alti e crescita economica lenta, con un peggioramento della capacità di restituzione dei debiti da parte di famiglie e imprese. Ma una minaccia ancora maggiore è proprio quella delle Non banking financial institutions (Nbfi), il cui universo continua a crescere a livello internazionale e che, con lo sviluppo delle piattaforme digitali e della tecnologia, appare sempre più difficile anche solo da monitorare.

Un sistema legato a doppio filo a quello “ufficiale”, con un continuo scambio di prestiti e denaro tra i due. Le Nbfi spesso si indebitano con le banche – con prestiti in genere di breve termine – per poi investire in operazioni rischiose sui mercati, sfruttando da una parte un “effetto leva” (mi indebito per poter investire più soldi di quanti ne abbia) e dall’altro i bassi tassi di interesse degli scorsi anni (mi indebito a poco e investo in operazioni più remunerative, intascando la differenza). Ma l’impennata dei tassi ha complicato questo meccanismo; e ora molte banche puntano a ridurre l’esposizione finanziaria e la montagna di debiti nel portafoglio, chiedendo a diversi attori del sistema ombra di rientrare.

Il “vizietto” della leva finanziaria

«Molti hedge fund hanno livelli di leva finanziaria relativamente bassi. Tuttavia, alcuni adottano strategie ad elevata leva finanziaria, complesse e concentrate, i cui rischi possono essere difficili da valutare in modo efficace per le controparti e le autorità di regolamentazione»

ha sottolineato il presidente dell’FSB, Klaas Knot.

«Se non gestita adeguatamente, la leva finanziaria può amplificare lo stress in caso di shock e portare a perturbazioni sistemiche, come dimostrato dalle recenti tensioni nei mercati delle materie prime e obbligazionario»

L’espansione del canale shadow è dovuto in gran parte alla decisione di diverse banche negli anni precedenti alla crisi del 2007-2008 (anche grazie all’utilizzo di nuove tecnologie informatiche e alla scoperta di strumenti avanzati di matematica finanziaria) di “esternalizzare” e portare fuori dal perimetro di consolidamento alcune attività caratterizzate da elevati margini di interesse ma anche da un forte profilo di rischio, tra leva finanziaria e utilizzo di strumenti derivati.

Il termine “shadow bank” nacque negli Usa, proprio dopo lo scoppio della grande crisi finanziaria partita nel sistema bancario collaterale con il crollo dei mutui subprime e poi propagatasi alle banche tradizionali, per poi contagiare il mondo intero. Uno tsunami che ha determinato una presa di coscienza a livello mondiale dei cambiamenti intervenuti negli anni nella struttura dei sistemi finanziari, e un ripensamento dell’assetto regolamentare generale. Al momento dello scoppio della bolla dei prestiti facili, quasi la metà delle transazioni di questo tipo a livello mondiale era concentrato negli Stati Uniti, molto meno in Europa.

Olanda virtuosa, Cayman da record

Secondo l’FSB , l’intermediazione finanziaria non bancaria varia nei molto da Paese a Paese, con percentuali sugli asset finanziari totali nazionali che oscillano tra il 4,7% dell’Olanda e il 67% delle Isole Cayman; oggi negli Stati Uniti il tasso sceso intorno 15%, poco più di Cina e Australia. In Europa batte tutti l’Irlanda (45,3%) davanti al Lussemburgo (19,9%); l’Italia si ferma all’8%.

Statistiche interessanti ma non tranquillizzanti: perché se la valanga parte, può investire tutti. Come insegnano i più recenti casi della SVB bank nella Silicon Valley e la citata Credit Suisse, per le quali sono scattati radicali interventi nazionali d’urgenza per scongiurare nuove crisi sistemiche come nel caso subprime. Proprio i rilevanti rischi diffusi creati dallo shadow banking system (l’interdipendenza con il sistema bancario, il forte contagio tra intermediari, il disallineamento rispetto al regime prudenziale delle banche) hanno attirato l’attenzione dei regolatori, che hanno approntato diverse misure a livello mondiale per porre dei freni alla crescita incontrollata e non regolamentata del settore.

Ma parliamo di un mosaico ricco e variegato che già è difficile da controllare, in più è in continuo mutamento, con l’avvento di nuovi attori. Si pensi al Fintech e ai servizi digitali con startup, Big tech, automotive, retail. E c’è chi parla di shadow banking 2.0 riferendosi all’ecosistema della finanza decentralizzata, tra token e criptovalute: la difficile comprensione delle infrastrutture tecnologiche alla base dei nuovi prodotti finanziari creerebbe un’implicita opacità di questi stessi prodotti, che può severamente danneggiare gli investitori.

Alti rendimenti, ma anche alti rischi

Lo shadow banking system riesce a garantire una maggiore fluidità al sistema finanziario rispetto agli istituti di credito tradizionali: i suoi attori, operando al di fuori del normale e regolamentato sistema finanziario, non hanno l’obbligo di rispettare i requisiti patrimoniali commisurati a tutti i rischi di mercato, credito e liquidità; ma è un’arma a doppio taglio, visti i forti rischi che ciò comporta.

Negli anni dei tassi bassi le Nfbi si sono diffuse enormemente grazie alla capacità di generare un ritorno maggiore sugli investimenti rispetto ai competitor bancari puri. Ma sono anche molto più esposte al fallimento e alle crisi finanziarie, visto che operano in totale assenza di regole per le riserve di capitale e di liquidità. In più, nonostante svolgano ruoli speculari alle banche, non godono delle stesse possibilità di credito nei confronti delle Banche centrali; e solitamente non dispongono di un solido capitale sociale in grado di far fronte alle buriane dei mercati.

Le basi su cui poggiano queste società sono decisamente meno solide. Ciò le rende soggette alla sfiducia degli investitori “più grandi”, in grado di muovere ingenti capitali: in una situazione di crisi, i clienti possono decidere di ritirare i loro soldi e spostarli su altre posizioni, più neutre, obbligando gli intermediari finanziari a reperire in breve tempo la liquidità per rimborsare l’investimento. Il che significa sgonfiare i propri stessi investimenti, abbattendo il valore nominale della società oltre che dei titoli su cui si sta operando.

L’importanza dell’intermediazione

Va ribadito che al di là degli aspetti critici, lo shadow banking – come evidenziato dalla Commissione Europea – se regolamentato correttamente può rappresentare un valido strumento per la crescita, in quanto canale alternativo rispetto al ‘tradizionale’ sistema di indebitamento bancario delle imprese. Il suo sviluppo e il suo coinvolgimento nell’attività di intermediazione creditizia fu inizialmente accolto con favore dalle autorità di regolamentazione: avrebbe prodotto effetti positivi sia nel sistema finanziario sia nel settore reale, promuovendo una sana competizione nel mercato bancario, una tendenziale riduzione dei costi, una diversificazione del rischio e una efficiente allocazione delle risorse.

Ma l’opacità del sistema, la sua esplosione e le azioni spericolate di qualche operatore hanno acceso più d’una spia. L’Europa è molto attenta al fenomeno, visto che la finanza ombra pesa in termini di asset oltre 41mila miliardi di euro (31mila nella sola Eurozona). Dall’inizio della crisi globale, il suo sviluppo nell’area euro ha superato di gran lunga quella del settore bancario: l’erogazione del credito da parte delle Nfbi ha ormai raggiunto il 26% del totale dei prestiti concessi alle imprese non finanziarie. Ora il rialzo dei tassi, l’inflazione, la sostenibilità dei debiti pubblici, la debole crescita e la guerra tra Russia e Ucraina hanno agevolato la speculazione.

Gli “sceriffi” della stabilità finanziaria

In attesa di trovare il modo di controllare le Nfbi, le banche tradizionali sono tenute sotto stretta osservazione da parte della Bce. Dato che la politica monetaria è ancora in fase restrittiva per combattere l’inflazione, i rischi dello shadow banking «potrebbero intensificarsi», ripete il presidente del Consiglio di sorveglianza, Andrea Enria.

«E l’accresciuta incertezza geopolitica rende più probabile l’emergere e il concretizzarsi di tali rischi, potenzialmente in agguato sotto la superficie»

Così con stress test regolari si simulano scenari estremi: il faro è acceso soprattutto quando gli istituti sono attivi su operazioni in derivati e di finanziamento titoli con controparti non bancarie. Un test su 20 big ha rilevato che, nonostante alcuni progressi nella gestione del rischio di controparte, c’è ancora «spazio per miglioramenti in aree quali la due diligence della clientela, la definizione della propensione al rischio, i processi di gestione dei default e i quadri di riferimento per gli stress test».

Il nodo delle regole

Secondo uno studio dell’Eurotower, le esposizioni verso entità Nbfi sono «considerevoli» e, in media, rappresentano circa il 9% degli asset totali delle istituzioni significative. Le grandi banche sono sempre più legate a quelle shadow: circa l’80% della raccolta e il 90% delle esposizioni di attività sono concentrate in meno di 20 istituti. La quota complessiva della raccolta di queste entità nelle passività bancarie ammonta a circa il 14 miliardi. Secondo Francoforte, è probabile che qualsiasi turbolenza nel settore Nbfi colpisca «in modo sproporzionato» gli istituti di importanza sistemica. Le prime cinque banche rappresentano circa il 50% dell’esposizione complessiva di prestiti e titoli e le prime 13 banche oltre l’80%.

Non bisogna dimenticare che vale anche l’effetto inverso: le difficoltà degli istituti di importanza sistemica potrebbero venir trasferiti alle entità ombra. Che in caso di crisi non possono avere accesso, a differenza degli operatori vigilati, alla liquidità di emergenza delle banche centrali; né è immaginabile che i governi decidano di usare i soldi dei contribuenti per ricapitalizzare un player della finanza ombra. Insomma, servirebbe subito una governance per evitare di cadere in un pericoloso circolo vizioso. Per ora la Ue ha varato una norma (Regolamento delegato 2023/2779) che individua i soggetti dello shadow banking e impone a ogni ente creditizio o impresa di investimento di notificare alle autorità competenti le dieci maggiori esposizioni verso di loro.

Non è evidentemente semplice regolamentare un comparto che per sua natura opera fuori dei circuiti regolamentati. Ora, dopo gli ultimi episodi, le Autorità di Vigilanza globali provano ad accelerare. Sperando che le future normative arrivino in tempo per scongiurare un’altra grande crisi finanziaria.