Finanza e Risparmio

Corsa ai BTp, ma il governo vuole dirottare il risparmio anche verso le Pmi

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Continua il momento d’oro dei titoli di Stato italiani, che nelle emissioni del Mef vanno letteralmente a ruba: da inizio anno ne ha piazzati per un valore globale di 120 miliardi di euro. A far da locomotiva sono i Buoni del Tesoro Poliennali (BTp), siano essi Green, Valore, tradizionali o indicizzati, di varie durate. Dopo il successo del BTp Valore marzo 2030 (che ha raccolto oltre 18 miliardi di euro, una cifra record per un titolo retail), a inizio settimana il Tesoro ha collocato la prima tranche del nuovo BTp indicizzato all’inflazione europea: a fronte di un’offerta per 5 miliardi la domanda ha toccato i 41 miliardi, la richiesta più alta di sempre a livello continentale per un titolo collegato all’inflazione. Il rendimento lordo annuo all’emissione è dell’1,83%.

Un’ottima notizia per il Governo. La premier Giorgia Meloni è una fervida sostenitrice della nazionalizzazione del debito pubblico fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi. Uno dei pilastri del suo governo è infatti quello di riportare il debito il più possibile nelle mani degli italiani:

«Con più debito nelle mani degli italiani siamo più padroni del nostro destino»

Questo boom – favorito dai rendimenti allettanti e dalla riduzione del rischio Italia sui mercati – dimostra che l’esecutivo è riuscito a canalizzare finalmente la fiducia del Paese sul debito. Ma acuisce un altro problema che gli sta a cuore, e che ancora non ha trovato una soluzione efficace: canalizzare il risparmio verso l’economia reale. Vale a dire verso le imprese, soprattutto piccole e medie, che in Italia soffrono cronicamente di sottocapitalizzazione. E che ora più che mai, con la stretta al credito, hanno bisogno di risorse per affrontare sfide come riorganizzare la presenza all’estero, investire sulla digitalizzazione e la sostenibilità.

Per varie ragioni non hanno dato i frutti sperati i Pir (Piani Individuali di Risparmio), strumenti di investimento di medio e lungo periodo, riservati alle persone fisiche, che assicurano un trattamento fiscale agevolato a investimenti su imprese italiane. Ora si cercano nuove strade per raggiungere l’obiettivo. «Il ministero dell’Economia sta lavorando a strumenti alternativi per convogliare il risparmio verso l’economia reale» ha annunciato il sottosegretario Federico Freni, in un’intervista a Class Cnbc, spiegando che «è un obiettivo che questo Mef vuole perseguire anche grazie all’attività del ministro Giorgetti che vuole dare all’economia reale un ruolo sinergico. L’obiettivo non è la fiammata, ma mettere sul fuoco legna secca che bruci bene, e a lungo».

Il tasso di risparmio convogliato sull’economia reale è fermo al 4%, il che è preoccupante, ha aggiunto:

«È ancora troppo basso per un Paese che immagina una crescita sostenibile». L’Italia in sostanza potrà avanzerà «realmente solo quando una buona fetta del nostro risparmio privato potrà andare verso l’economia reale»

Si stima che sui conti correnti bancari degli italiani ci siano 1.700 miliardi di euro, aumentati di 200 miliardi dopo la pandemia. Come fare per farne arrivare una parte alle imprese, che oltretutto hanno visto ridursi l’accesso al credito con la fiammata dei tassi di interesse? Il risparmio «può trasformarsi in un volano per la crescita del Paese, ma a condizione che venga investito nell’economia reale» ha ammonito il presidente dell’Acri, Francesco Profumo, all’ultima Giornata del Risparmio: oggi gli italiani che risparmiamo investono pochissimo, acquistano titoli di Stato e privilegiano strumenti finanziari esteri. Serve quindi «un cambio di paradigma culturale, che lo faccia convergere verso l’economia italiana e le Pmi, fino ad aprirsi anche al cosiddetto “ecosistema del capitale di rischio”».

Un investimento in aziende italiane è meno liquido e più rischioso dei titoli di Stato (soprattutto se in aziende piccole): servono condizioni davvero invitanti se si vuole mobilitare un risparmio privato di fatto “improduttivo”. Trasformarlo in benzina per il motore delle imprese non è semplice, per l’Italia, un tempo leader nel rinvestimento del risparmio e oggi dietro a competitor come Germania e Francia. Pesa la «la sfiducia verso la chimera dell’economia reale: dovremmo essere più bravi noi a spiegare quanto l’economia non sia una chimera ma sia importante», ha detto Freni.

«Contiamo di risolvere questo problema nel medio e lungo termine. Lo stesso ddl Capitali potrebbe dare una spinta con la sua semplificazione strutturale»

Più in concreto, uno degli obiettivi è «la rivitalizzazione dei Pir, che abbiamo fatto in legge di bilancio, in cui abbiamo dato quegli accorgimenti alla disciplina dei Pir che ci consentiranno di andare oltre». Si potrà pensare anche ad altro, ha aggiunto cripticamente il sottosegretario. Una spalla importante è sicuramente quella della Cassa Depositi e Prestiti, che raccoglie il 7% del risparmio degli italiani e veicola 400 miliardi di investimenti tra strumenti di debito e strumenti di equity all’interno dell’economia reale.

Di proposte in tal senso nel sono state avanzate tante da economisti e accademici, in passato. L’allora governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, aveva sottolineato la necessità di «ampliare l’offerta di strumenti finanziari attraverso l’emissione di più obbligazioni e strumenti liquidi delle nostre aziende». Oppure si potrebbe creare un Fondo nazionale di investimento nell’economia reale, come propone il leader della Cisl, Luigi Sbarra, «che verrebbe tutelato da una garanzia statale integrale su di un ammontare massimo (per evitare speculazioni) ad una certa scadenza, fermo restando la possibilità di realizzare plusvalenze. Il risparmio raccolto dovrebbe essere vincolato per un congruo periodo di tempo (lock up 3-5 anni). Andrebbe poi prevista la creazione di un mercato secondario per consentire la liquidabilità delle quote».

Ma questo non è un problema solo italiano, e anzi lo sarà sempre di più per tutta l’Europa. Lo ha rilevato anche Mario Draghi a fine febbraio alla riunione informale dei ministri delle Finanze a Gand, in Belgio, dove è invitato alla luce del rapporto sul futuro della competitività europea cui sta lavorando. «Negli ultimi anni si sono verificati cambiamenti profondi nell’ordine economico globale, e questi cambiamenti hanno avuto una serie di conseguenze, una delle quali è chiara: in Europa si dovrà investire una quantità enorme di denaro in un tempo relativamente breve». Non solo denaro pubblico, ha sottolineato l’ex premier, ma anche i risparmi delle famiglie: «Si devono mobilitare le risorse private in misura molto più elevata rispetto al passato». Solo per le transizioni verde e digitale serviranno almeno 500 miliardi di euro l’anno, a cui vanno aggiunti la difesa e gli investimenti produttivi.

A livello di bilancio statale «non c’è molto denaro disponibile», ha detto Bruno Le Maire, ministro delle Finanze francese. Ma di denaro disponibile ce ne sarebbe a palate: «I risparmi degli europei ammontano a 35mila miliardi di euro, e un terzo, oltre 10mila miliardi, dormono sui conti bancari. Sono soldi che dormono e non lavorano, quando i soldi degli europei devono contribuire alla crescita, alla ricerca, all’occupazione». Negli Usa i soldi fermi in banca sono meno del 15%.