Finanza e Risparmio

Il Bitcoin e le previsioni folli di crescita (e guadagni folli): davvero ci possiamo fidare?

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Di Mara Canozai

Ascese che apparivano irrefrenabili e crolli sorprendenti, inframezzati da frodi, furti, comportamenti imbarazzanti, speculazioni, e di recente pure lo sbarco a Wall Street: il Bitcoin, la criprovaluta più volatile e imprevedibile del mondo, fin dalla sua creazione nel 2009 ad opera di un ignoto che si cela dietro lo pseudonimo Satoshi Nakamoto, ci ha abituati alle situazioni più estreme. Ora veleggia imperturbato verso valori impensabili un anno fa, con un rally scandito quotidianamente da record e successivi ripieghi: venerdì 8 marzo con un guizzo ha infranto la soglia dei 70mila dollari (70.199 per l’esattezza), e c’è chi vagheggia i 100mila dollari a breve, nonostante avvertimenti e inviti alla prudenza.

Valori sulle montagne russe

Il Bitcoin (sigla ufficiale BTC) è la prima e più famosa tra le criprovalute, non l’unica: ne esistono migliaia, per un valore di circa 1.400 miliardi di dollari a fine 2023. Ed è famosa per i suoi cicli boom and bust, picchi e crolli. Questa volta andrà diversamente dal passato? Qualunque potenziale investitore si chiede se c’è da fidarsi di una moneta virtuale – e taluni neanche la considerano una moneta – che dalla sua creazione si è apprezzata di 8mila volte, oppure è l’ennesima avvisaglia di una bolla speculativa.

Il movimento rialzista in atto sta sorprendendo molti investitori, che per paura di perdere il treno stanno acquistando valute, contribuendo alla crescita: la speranza di diventare ricchi velocemente e senza sforzi è dura a morire. Speriamo che il film non sia quello già visto nel 2022, con lo scoppio della bolla speculativa: dopo aver segnato l’ennesimo record a 64mila dollari, il Bitcoin crollò del 75% fino a 16mila. Roba da montagne russe: nel 2021 il suo valore è salito del 60%, nel 2022 ha perso il 64%, è più che raddoppiato nel 2023. C’è chi ha guadagnato tanto, ma anche chi ha perso altrettanto.

Il Bitcoin nel salotto buono della finanza

Cercare delle spiegazioni razionali per interpretare l’andamento di un mercato esclusivamente speculativo come quello dei Bitcoin, è un ossimoro. Ma qualche punto fermo c’è. Sicuramente sul rialzo incide il riconoscimento ufficiale arrivato dalla finanza che conta, dopo tante critiche. A inizio 2024 la Sec, l’organo di vigilanza sulle Borsa americana, ha dato il via libera alla compravendita di titoli legati ai Bitcoin su tutti i mercati finanziari ufficiali: ora si possono scambiare direttamente in Borsa, ossia in canali vigilati, mentre fino a ieri si poteva investire solo tramite canali paralleli, su cui non c’è di fatto alcun tipo di controllo. Per la precisione, ha approvato la richiesta di 11 società finanziarie – tra cui BlackRock, la più grande banca d’affari al mondo – di creare dei fondi di investimento mirati (in gergo tecnico si chiamano Etf) proprio basati sul Bitcoin.

Non sfugge ai più il valore simbolico della legittimazione da parte della Sec degli asset digitali, arrivata dopo una bolla speculativa e scandali che hanno coinvolto il secondo più grande exchange del mondo, Ftx, e la più importante realtà della finanza decentralizzata, TerraLuna: nati come strumento di protesta che aveva l’obiettivo di rivoluzionare il mercato finanziario, i Bitcoin ora ne sono diventati una componente. Ma a parte ciò, la decisione della Sec è destinata con tutta evidenza a dare impulso alla domanda di criptovalute: sia perché porta più controlli e garanzie agli investitori in un mezzo far west, sia perché “democratizza” uno strumento su cui finora investivano solo gli esperti.

Parliamo infatti di un campo ad alta volatilità, in cui gli indici hanno andamenti imprevedibili, e che richiede competenze specifiche per comprare criptovalute, come aprire un conto su piattaforme di trading, che hanno costi elevati e regole particolari, oppure investire attraverso i futures. Roba da esperti. Ora diventano più accessibili anche agli investitori comuni (tanto ci pensa il gestore!) e questo non può che aumentarne la diffusione e allargare il mercato: in effetti, in meno di due mesi quegli Etf hanno raccolto oltre 20 miliardi di dollari. E questo, prevedono gli addetti ai lavori, contribuirà a valori più stabili nel tempo.

La corsa ai facili guadagni

È verosimile che pesi anche la ricerca di investimenti alternativi in una fase di incertezze economiche globali e di alti tassi d’interesse. Proprio la prospettiva di una cospicua riduzione dei tassi, su cui Bce e Fed hanno aperto, favorisce storicamente gli investimenti in asset più volatili, come le cripto. Inoltre, l’inflazione aumentato l’interesse per il bitcoin come copertura contro il deprezzamento dell’euro e del dollaro.

Gli strappi al rialzo delle criptovalute, con l’illusione di facili guadagni, restano una tentazione più forte dei moniti alla prudenza. Tanto per persone comuni quanto per i guru. Warren Buffett, 93enne decano indiscusso degli investitori, negli anni non ha mai nascosto pubblicamente il suo disprezzo per gli asset digitali, «che portano a una brutta fine». Poi a fine febbraio la sua Berkshire Hathaway è entrata nel mercato delle criptovalute, seppur se attraverso la porta di servizio: ha investito 1 miliardo di dollari nelle azioni Nu Holdings, una banca latinoamericana con approccio digital first che consente tra l’altro agli utenti di negoziare varie criptovalute, tra cui Bitcoin ed Ethereum.

Tetto alla produzione e fattore dimezzamento

Un fattore di spinta al rialzo su cui tutti gli esperti concordano porta un nome che praticamente nessuno conosce fuori della loro cerchia: halving, tradotto in italiano “dimezzamento”. In parole semplici, è un meccanismo connaturato all’essenza stessa del Bitcoin, programmato dal suo inventore per esistere in una quantità definita e fissa, al contrario delle valute a corso legale, che in funzione delle mosse Banche centrali aumentano o diminuiscono. Ne potranno esistere solo 21 milioni, non uno di più. Questa limitazione dell’offerta serve a renderlo meno soggetto all’inflazione rispetto alle valute nazionali classiche (monete fiat) e aiuta a mantenere il suo valore.
A oggi ne sono stati creati poco più di 19 milioni e quando si raggiungerà il tetto – data stimata 2140 – la loro offerta non aumenterà più. Il protocollo prevede che attraverso l’halving si riduca automaticamente il numero di nuove monete emesse in ogni nuovo blocco di Bitcoin: un blocco corrisponde grossomodo a quattro anni. In ultima analisi, la riduzione dell’emissione di Bitcoin significa che il prezzo aumenta se la domanda rimane invariata. Il prossimo halving è dietro l’angolo: è atteso in aprile, anche se è difficile prevedere la data esatta.

Senza addentrarci in astruse spiegazioni tecniche – l’halving dimezza la ricompensa per i miners che validano i blocchi – basta considerare la logica secondo cui l’aumento della domanda in un momento in cui l’offerta è limitata ha un impatto positivo sul prezzo. Nei mesi successivi all’halving del 2012 il prezzo del Bitcoin aumentò quasi del 12.000%, dopo quello del 2020 del 300%. È del tutto plausibile presupporre un aumento del valore in anche questa occasione.

Fin dove può arrivare?

Tutte queste argomentazioni, comunque, non spiegano l’elevata volatilità della regina delle criptovalute, che qualcuno ha definito “l’oro digitale”: e la volatilità, si sa, è una caratteristica associata spesso alle bolle speculative.  Oltretutto, una simile crescita mal si concilia con le diverse economie in frenata e con tassi elevati sui quali le banche centrali tardano a intervenire; né è in linea con i suoi fondamentali.

C’è chi – come Walid Koudmani, chief market analyst di Xtb – giustifica il rally con la presa di coscienza dell’uso effettivo del BTC:

«Le innovazioni nella tecnologia blockchain e l’aumento delle applicazioni di finanza decentralizzata hanno ampliato l’utilità delle criptovalute»

Per Daniel McCabe, ceo di Flexa, il rally può durare per un po’:

«Non si tratta solo dei fattori che hanno caratterizzato le precedenti corse al rialzo, ma anche dell’introduzione degli Etf e della probabilità che quest’anno venga approvata una legge sulle stablecoin (valute digitali ancorate a un asset di riferimento che può essere denaro fiat o materie prime negoziate in borsa o un’altra criptovaluta, ndr

Anthony Georgiades, general partner di Innovating Capital, professa prudenza:

«Pur essendo fiducioso che il Bitcoin continuerà a crescere di prezzo, ritengo che nel breve termine si debba essere più cauti nell’ottimismo»

Nessuno sa dove potrà arrivare, o si azzarda a metterlo nero su bianco, tante sono le variabili di cui tener conto. E qualsiasi previsione va presa con le pinze e pure con le tenaglie. Per puro spirito di cronaca – non senza perplessità – riportiamo la stima di alcuni analisti secondo cui, al verificarsi di una serie di fattori favorevoli, il prezzo di un BTC potrebbe raggiungere 1,48 milioni di dollari entro il 2030. Facendo qualche calcolo, sulla base di tale proiezione, potrebbe essere plausibile che entro il 2025 oscilli tra i 150.000 e i 200.000 dollari.

Tutto è possibile. Una cosa è certa: se il Bitcoin avesse un’etichetta, ci sarebbe scritto su «Maneggiare con cura».