Finanza e Risparmio

Il venture capital apre alle micro imprese

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di Franco Vergnanoinve

Abbiamo le idee molto chiare. Vogliamo aiutare le piccolissime aziende ad esprimere al meglio le loro potenzialità, con un focus sulla trasformazione digitale.

Racconta Alessandro Rimassa, uno dei protagonisti del primo venture capital italiano espressamente dedicato alle PMI.

«Il nostro supporto alle micro-imprese sarà fortemente orientato all’innovazione; il digital, infatti, ha completamente ridisegnato il mondo in cui viviamo, facendo di concetti come cambiamento continuo, trasparenza, fiducia, velocità e innovazione i nuovi valori essenziali per affrontare le sfide contemporanee e gli asset fondamentali per qualsiasi azienda voglia crescere nell’attuale contesto competitivo».

Il venture capital è stato a lungo visto con diffidenza in Italia, mentre ha trovato sempre grande apprezzamento negli Stati Uniti, dove è nato all’inizio del Novecento: basti pensare al suo sviluppo nella Silicon Valley soprattutto per le start up. Con questo sistema, a volte abbreviato in “venture cap”, si intende l’apporto di capitale di rischio da parte di un fondo di investimento per finanziare l’avvio o la crescita di un’attività in settori ad elevato potenziale di sviluppo, innovazione e attrattività, anche se l’investimento è rischioso (tale per cui un altro individuo o un’istituzione come una banca non lo intraprenderebbe).

I target degli investimenti sono società, incluse le startup. In genere, l’investitore che mette a disposizione un fondo di venture capital, magari fondato da lui stesso anche se non gestito direttamente, si definisce appunto “venture capitalist”, da non confondere con i “business angel”, anche se entrambi sono attori nel private equity financing.

Ma perché questo strumento è così importante per il Belpaese e l’industria tricolore? Secondo le ultime rilevazioni dell’Istat, in Italia risultano in attività quasi 4,4 milioni di imprese non agricole, con 17,4 milioni di addetti. Oltre il 60% delle aziende ha un solo addetto (in genere ditte individuali con il titolare lavoratore indipendente); un ulteriore terzo della popolazione sono microimprese tra i 2 e i 9 addetti: questi due segmenti insieme occupano circa 7,5 milioni di addetti.

Uno scenario caratteristico dell’Italia, il cui tessuto imprenditoriale è composto per oltre il 90% da realtà di piccolissime dimensioni, che fatturano tra i 500mila euro e i 2 milioni l’anno. Aziende che, in moltissimi casi, hanno voglia di crescere, di internazionalizzarsi e digitalizzare il proprio business, ma che faticano ad accedere alla liquidità e al know-how necessari per farlo, perché banche e fondi di investimento finanziano prevalentemente le start up.

Ed è proprio partendo da questo scenario che è nata Smart business venture, la prima operazione di venture italiana dedicata alle micro-imprese di qualsiasi settore, lanciata da Alessandro Rimassa, esperto di education, future of work e digital transformation e fondatore di diverse società di formazione, e Alfio Bardolla, con la sua società Abtg, leader europea nella formazione finanziaria personale e quotata sul segmento Aim della Borsa milanese.

«Finora – conclude Rimassa – abbiamo una cinquantina di aziende in waiting list che si sono candidate. Già nei primi mesi del 2023 pensiamo di fare il “closing” con 2-3 imprenditori. Il nostro obiettivo è quello di entrare nelle imprese per decuplicare il fatturato nel giro di 3-5 anni. Offriamo alle micro-imprese la solidità di un gruppo quotato in Borsa e la grande esperienza dei due fondatori. Il progetto prevede l’acquisizione, nell’immediato o con il tempo, del 51% delle società coinvolte, mantenendone alla guida l’imprenditore, a cui verrà fornito il supporto necessario per la crescita, costruendo insieme il suo piano di sviluppo e scommettendo su marketing, finanza, vendite, organizzazione. Nell’ambito del piano, inoltre, verrà fornito supporto sulla distribuzione e sulla gestione degli aspetti burocratici legati, ad esempio alla parte amministrativa e legale».