Finanza e Risparmio

Incognite Ubs-Credit Suisse e sfiducia degli investitori

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di Mariarosaria Marchesano

Le sedi centrali di Credit Suisse e di Ubs si trovano nel pieno centro di Zurigo, a 300 metri di distanza l’una dall’altra, e questa concentrazione di storia e competenza bancaria e finanziaria è sempre stata motivo d’orgoglio per la confederazione elvetica. Ma la fusione tra le due banche, sebbene il ceo Sergio Ermotti dica che la taglia del gigante che ne verrà fuori non sarà poi così esagerata a livello internazionale, imporrà certamente una razionalizzazione delle risorse nonché degli immobili e chissà quale dei due edifici ultracentenari – ma quello di Credit Suisse a Paradeplatz è più antico – sarà destinato a ospitare il quartier generale della nuova Ubs.

In finanza i simboli sono importanti e la Svizzera deve riconquistare la fiducia del mondo dopo un crac e un salvataggio lampo che hanno fatto tremare il mondo bancario europeo e sui quali è appena scattata un’indagine penale. L’ultima notizia di questa vicenda destinata ad avere grandi ripercussioni a vari livelli è, infatti, che il procuratore generale svizzero ha avviato un’inchiesta sull’acquisizione, mediata dalle autorità elvetiche, di Credit Suisse da parte di Ubs per verificare se ci sono stati dei reati.

Che si tratti di un’operazione che serve a ridare alla Svizzera l’immagine di una piazza finanziaria “pulita” oppure di un modo per mettere sotto pressione Finma – l’autorità di vigilanza, che si è accorta troppo tardi di quel che stava succedendo e adesso, per potersi riscattare, dovrà offrire il suo aiuto per identificare i possibili responsabili del collasso di Credit Suisse – poco importa: tutti gli occhi sono puntati su una megafusione che ha pochi precedenti nella storia del credito europeo e avrà conseguenze che nessuno ancora ha calcolato.

Mentre, infatti, l’impatto del fallimento delle banche californiane è già abbastanza visibile all’interno del sistema americano – vale dire la fuga dei depositanti dalle banche regionali verso quelle di maggiori dimensioni – il salvataggio di Credit Suisse da parte di Ubs deve ancora essere metabolizzato in Europa anche per le differenze regolamentari tra la zona euro e la confederazione elvetica. In entrambi i casi, comunque, la fiducia che dovrebbe essere alla base di un sistema finanziario ben funzionante è stata messa a dura prova. Clienti e investitori delle banche si sono allarmati e anche se sui mercati è poi tornata una certa tranquillità, l’impatto emotivo sulle due sponde dell’Atlantico sembra destinato a durare.

In America si sta verificando una fuga verso la sicurezza e sebbene il governo degli Stati Uniti non veda di buon occhio le istituzioni finanziarie «troppo grandi per fallire» (too big to fail), il mercato sta andando ora in quella direzione e le grandi banche sembrano destinate a crescere ulteriormente. Il che non significa, però, che per questi istituti siano tutto rose e fiori: se da un lato possono fare incetta di nuovi clienti, dall’altro sono infatti chiamati a finanziare l’assicurazione di tali depositi.

Ma questo non è l’unico effetto collaterale e non calcolato del fallimento delle banche californiane, perché è molto probabile che negli Stati Uniti ci sarà un inasprimento delle regole di vigilanza per gli istituti di medie dimensioni dopo la deregulation voluta da Donald Trump nel 2018. Ad ogni modo, le conseguenze del crac di Svb bank e la crisi delle altre della Silicon Valley stanno assumendo contorni più chiari agli occhi di commentatori e analisti, compresa la maggior cautela a cui la Fed sembra volersi ispirare nelle future mosse sui tassi d’interesse.

In Europa, invece, molte valutazioni sul caso Credit Suisse sono ancora in corso, anche per la scelta delle autorità elvetiche di invertire la gerarchia delle perdite tra azionisti e obbligazionisti. Non è mai facile spiegare come una banca che, secondo le sue stesse comunicazioni al mercato, aveva buoni indici di solvibilità e di liquidità possa vedere il proprio capitale sociale evaporare in un solo fine settimana con un’accelerazione dei deflussi dei depositi.

Inoltre, come è possibile che il debito At1, vale a dire di chi aveva acquistato obbligazioni subordinate, è stato azzerato prima di chi aveva partecipazioni di capitale?

È stato fondamentale che la Bce e l’autorità di mercato britannica abbiano chiarito subito che questo è impossibile nelle rispettive giurisdizioni, ma resta il rammarico di chi quei titoli li aveva comprati senza conoscere una clausola (pare esistesse davvero) che nega decenni di giurisdizione sulla partecipazione alle perdite degli investitori. Insomma, per quanto la soluzione trovata per scongiurare il crac di Credit Suisse sia stata in apparenza ideale (l’acquisizione da parte della più grande, solida e credibile concorrente, Ubs) sulla fusione tra i due istituti peseranno delle incognite.

La prima è la fiducia degli investitori che è stata minata. Con l’affievolirsi nella memoria collettiva dello shock del Credit Suisse, il sentiment dei titoli finanziari europei potrà continuare a riprendersi ma, ad esempio, non manca chi suggerisce di tenersi alla larga da obbligazioni bancarie, mercato che anche in Italia si era appena ripreso.