Finanza e Risparmio

Materie prime e titoli di Stato a breve termine, scudo contro l’iper-inflazione

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di Massimiliano Volpe

L’inflazione è tornata prepotentemente a condizionare i mercati finanziari dopo un lungo periodo di tassi negativi. Di fronte all’aumento dell’inflazione, la Federal Reserve e la Bce hanno inasprito la politica monetaria alzando i tassi di interesse, con inevitabili riflessi negativi sulle diverse asset class. E i contraccolpi si sono già visti lo scorso anno, con forti cali sia sui mercati obbligazionari sia su quelli azionari.

La domanda che adesso si pongono tutti è: dove investire adesso il proprio denaro? In questo contesto la conservazione del potere d’acquisto dovrebbe essere l’obiettivo minimo per i rendimenti dei nostri investimenti. Più facile a dirsi che a farsi. Ma come si comportano le diverse forme di investimento in un contesto di elevata inflazione?

Per rispondere a questa domanda, Hans-Jörg Naumer di Allianz Global Investors ha esaminato l’andamento di diversi tipi di investimento in scenari inflazionistici molto diversi tra loro, dal 1971 a oggi negli Stati Uniti. Dal 1900 gli Usa hanno vissuto tre episodi di inflazione superiore al 5%: 1916–1921, 1945–1951 e la grande inflazione degli anni ‘70. Poiché l’obiettivo degli analisti è la conservazione del valore, tutti i rendimenti sono stati espressi come rendimenti reali.

In estrema sintesi dalla ricerca emerge che solo le materie prime e i titoli di Stato a breve termine riescono a proteggere i portafogli dei risparmiatori da un’inflazione molto elevata. Da Allianz Global Investors sottolineano però che lo studio si basa su dati puramente storici e non può essere considerato un modello per il futuro, né tiene conto degli attuali sviluppi delle economie o dei mercati finanziari.

Ma vediamo nel dettaglio cosa succede alle diverse asset class osservando quanto riportato nel grafico.

Inflazione sopra l’8%

Quando l’inflazione è superiore all’8%, come nel periodo in cui stiamo vivendo da quasi un anno, le uniche asset class che storicamente hanno registrato rendimenti molto positivi sono state le materie prime e in particolare l’oro. In questo contesto, performance positive vengono messe a segno anche dai titoli di Stato a breve termine. Particolarmente penalizzate invece le obbligazioni societarie e i titoli di Stato con duration più lunghe. Male, anche se con un grado minore, le azioni (Usa e globali).

Inflazione al 6-8%

Storicamente, in un contesto di inflazione compresa nel range 6-8%, le migliori performance sono state registrate dalle commodity, seguite dalle obbligazioni societarie e dai titoli di Stato a breve scadenza. Quelli a lungo termine presentano in questo contesto un andamento prossimo alla parità. Negativi invece i rendimenti delle azioni (Usa e globali) e, a sorpresa, anche quelli del metallo giallo.

Inflazione al 4-6%

Quando l’inflazione si trova compresa nel range 4-6% le materie prime registrano in media l’andamento migliore, seguite dalle azioni (Usa e globali) e dall’oro. Rendimenti positivi sono registrati anche da tutta l’asset class obbligazionaria con in testa quelle societarie, seguite dai titoli di Stato a lungo termine e poi da quelli a breve.

Inflazione al 2-4%

Infine, nell’intervallo di inflazione 2-4%, tutte le asset class presentano rendimenti positivi ma molto diversi tra loro. Le migliori performance vengono messe a segno dalle azioni (Usa e globali), seguite dalle materie prime, dalle obbligazioni corporate, dall’oro, dai titoli di Stato a lungo termine e poi da quelli a breve termine.

Cosa succede quando i tassi scendono

Gli scenari che si prospettano indicano una possibile attenuazione delle pressioni inflazionistiche già nei prossimi mesi e pertanto la fase di rialzo dei tassi di interesse potrebbe raggiungere il culmine entro l’estate. Dall’analisi delle serie storiche emerge che quando i tassi di inflazione tornano a scendere, dopo avere toccato un massimo, l’apparente vantaggio delle materie prime e dei metalli preziosi si è ribaltato.

I metalli preziosi sono stati particolarmente colpiti da questo punto di vista. Secondo gli esperti di Allianz Global Investors, la regola generale che sembra valere è la seguente: quanto più forte è l’inflazione, tanto maggiori sono le perdite in termini reali quando questa torna a scendere. Al contrario, le azioni e le obbligazioni hanno registrato un andamento molto positivo. In particolare i risultati delle obbligazioni rispecchiano un esito quasi ideale: quando i tassi di inflazione (o le aspettative di inflazione) diminuiscono, anche la parte di rendimento obbligazionario che compensa gli investitori per l’inflazione può diminuire. Ceteris paribus, il calo dei rendimenti nominali porta a un aumento dei prezzi delle obbligazioni.

Attenzione ai punti di svolta

È bene prestare attenzione al fatto che, prima di vedere una fase di ribasso dei tassi di interesse, le banche centrali manterranno invariate le loro politiche monetarie a lungo per favorire il calo dell’inflazione. Storicamente in questa fase i mercati azionari vanno a toccare nuovi minimi, prima di iniziare un nuovo ciclo duraturo di rialzi.

Per questo motivo, secondo Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, l’anno della ripresa per i listini sarà il 2024, quando le banche centrali inizieranno a tagliare i tassi di interesse. «I prossimi mesi saranno dunque da sfruttare per una lenta e graduale accumulazione di rischio. In questa fase la liquidità potrà essere fruttuosamente parcheggiata in strumenti brevi e sicuri» conclude Fugnoli.

Ricadute sui portafogli

L’inflazione penalizza anche il tradizionale portafoglio bilanciato 60-40, tipico dei risparmiatori italiani. Coloro che lo adottano sperano che la discesa delle azioni sia compensata dal rimbalzo delle obbligazioni e viceversa. Cercare la diversificazione è sempre positivo, ma secondo Amadeo Alentorn, lead investment manager, Systematic Equities, di Jupiter Asset Management, l’allocazione in due sole asset class non è in grado di offrire un sufficiente grado di diversificazione ai portafogli.

«Il nostro approccio market neutral, tipico della gestione attiva, è stato ideato per non essere influenzato dai movimenti del mercato azionario, ma per generare alfa. Questo approccio ha permesso, nel corso del tempo, di ottenere rendimenti con una bassa correlazione con le asset class azionarie e obbligazionarie» conclude l’esperto della società di gestione inglese.